Dark Rose Valkyrie – Recensione

La storia dei JRPG e la nostra concezione di essi è stata segnata dall’esistenza stessa di uno dei brand più famosi di sempre, Final Fantasy. Mentre la saga è andata avanti adattando il proprio gameplay ai nuovi giocatori, decisamente meno inclini a passare ore nel farmare in giochi di carte dalla dubbia utilità o semplicemente a studiarsi le combinazioni più efficaci, altri videogiochi invece hanno deciso di rimanere sulla falsariga del combattimento a turni. Uno di questi, è Dark Rose Valkyrie.

Sviluppato dalla Compile Heart e rilasciato per la prima volta nel 2016 dalla Idea Factory in Giappone, Dark Rose Valkyrie si presenta al pubblico come un prodotto molto commerciale, in linea con le trame più famose del periodo in Giappone (Attack on Titan o Black Bullet) mischiandoci un meccanismo da visual novel e i combattimenti classici dei vecchi JRPG.

Una storia a tratti comune…

In un mondo alternativo, nel Giappone inizi anni ’90, un meteorite chiamato “Black Garnet” sconvolge il mondo stesso, arrivando a modificare ogni tipo di creatura vivente in una “Chimera”, portando alla creazione di spaventose e pericolose creature in grado di distruggere qualsiasi cosa. Per far fronte all’emergenza, un corpo militare è stato arrangiato per riuscire a combattere la minaccia, che per lo più assaliva gli uomini. Il protagonista, Asahi, sarà il nuovo capitano della divisione addetta alla protezione dei cittadini e allo sterminio delle creature…

Accoglienza fiduciosa non totalmente ben riposta

Il successo in patria all’uscita di Dark Rose Valkyrie è sicuramente un forte segnale di potere da parte dello stesso, mostrandone l’incredibile accoglienza e la fiducia che i giocatori nipponici gli hanno riservato. Ciò potrebbe annunciare, dunque, un titolo forte di uno straordinario gameplay e di un comparto tecnico emozionante. Questo è ciò che speravamo un po’ tutti, ma le nostre aspettative non hanno ricevuto la risposta che ci aspettavamo.

Dalla sceneggiatura del celebre Takumi Miyajima, noto per il suo contributo alla serie dei Tales of di certo ci si poteva aspettare un soggetto e una narrazione interessanti, ed in parte tiene fede a questi desideri, mostrando una scrittura particolarmente leggera e fruibile, che si adatta bene a ogni personaggio, rendendo ogni dialogo vivo e interessante. Tuttavia, questo suo talento non viene rispecchiato nelle scene chiave del racconto, i climax degli episodi, dove chiaramente non vi è nessun tipo di tensione, né alcun tipo di teatralità.

Una narrazione piatta e talvolta poco coinvolgente che fa perdere la voglia di andare avanti, di scoprire cos’altro ha da offrire questo titolo che, a conti fatti, in realtà si dimostra essere più che decente. I personaggi stessi, una volta superato il primo sguardo veramente poco convincente, si dimostrano essere in realtà uno staff molto variegato ed efficace nel suo ruolo, mostrando diverse personalità credibili ed interessanti da scoprire durante i dialoghi. Anche se, tuttavia, l’eroina principale Yakumo non riesce a reggere il passo con il suo ruolo e mostra più volte segni di debolezza nel suo personaggio.

Gameplay convincente, narrazione traballante

Il gameplay, decisamente facilitato dalla scelta iniziale di usare la dozzina di dlc gratuiti che ti permettono di avere una grande scorta di oggetti e di soldi, si mostra comunque ben più complicato del previsto, implementando sempre più modalità e differenziando enormemente i vari tipo di attacchi, siano essi meele, con armi da fuoco, attacchi magici o un mix di tutto.

Questa particolare combinazione si è rivelata vincente, portando un po’ di brio nello studio di ogni personaggio e delle loro potenzialità. Tuttavia, il tutorial è veramente povero e necessitava di più cura, soprattutto a causa di alcune caratteristiche non facili da comprendere per chi desidera ottimizzare al meglio i propri personaggi. L’esplorazione invece soddisfa abbastanza all’interno dei dungeon, aggiungendo la possibilità di scalare e di saltare, un’aggiunta che da molto al gameplay stesso, rompendo diversi limiti che di solito fanno soffrire parecchi giocatori in alcuni giochi.

Lo sviluppo narrativo, seppur senza colpi di scena ben curati e con un inizio piuttosto lento composto per lo più da piccole incursioni, prende una piega più che piacevole da un certo punto, portandoti a dubitare di chiunque e a realizzare l’importanza di relazionarsi con gli altri membri della tua squadra. Molto negativa invece è la gestione dei nemici, che hanno una zona di aggro molto ristretta e che, talvolta, risulta anche eccessivamente stupida da vedere. Persino lo spawn dei nemici è, per certi versi, molto fastidioso a causa delle continue apparizioni di mostri pericolosi (soprattutto nelle ore notturne, dove le creature più forti escono allo scoperto) letteralmente davanti ai punti di salvataggio, rovinandoti ancor di più l’esperienza.

Un altro punto che, personalmente, non ho trovato ben congeniato è la scelta stessa della difficoltà. Da sempre contrario all’introduzione di questa possibilità, Dark Rose non fa altro che incrementare i miei dubbi al riguardo, fornendo tre modalità (Easy, Hard e Very Hard) le quali, per un giocatore alle prime armi che però vuole comunque un po’ di sfida, sono molto difficili da interpretare.

Dark Rose Valkyrie ps4

Direzione artistica sorprendente

Le animazioni in game sono decisamente un malus incredibile per la valutazione del gioco: decisamente troppo macchinose. La legnosità nel movimento dei personaggi nella mappa di gioco ne denota l’arretratezza tecnica del titolo in alcune parti, facendogli mancare quella caratteristica estetica che gli avrebbe fatto fare un balzo in avanti.
Stessa cosa si può dire del bestiario, che nonostante inizialmente possa sembrare molto vario, alla fine si scopre essere per lo più pieno di creature uguali, ma con un colore diverso.

Dal lato grafico e concettuale, i dungeon invece sono molto carini, seppur semplici. Non lasciano molta sfida a livello esplorativo, ma il loro design è accattivante. Stessa cosa è possibile dire per i personaggi, veramente belli a livello estetico ed ognuno con un design particolare che te li fa ricordare. Questo grazie soprattutto alla mano di Kosuke Fujishima, che anche in questo caso è riuscito a fare un ottimo lavoro. Le musiche non sono niente di memorabile, ma il doppiaggio giapponese è ben realizzato e bello da ascoltare, soprattutto grazie alla presenza di VA famosi e riconosciuti (come Suzuko Mimori, VA di Umi di Love Live e di Saionji in Danganronpa 2, o Shinichiro Miki, doppiatore di Takumi in Initial D, Aladdin nel film Disney e Mustang in Full Metal Alchemist). In definitiva, un cast eccezionale e degno di lode, un’ottima scelta.

[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]Tirando le somme, Dark Rose Valkyrie non si è dimostrato essere un gioco capace di intrattenere, pur essendo un gioco molto pesante in alcuni punti per via delle sue meccaniche poco chiare o ridondanti. Una maggiore cura a livello tecnico lo avrebbe reso un gioco molto più apprezzato e decisamente degno di lode, ma così com’è rimane un prodotto semplicemente sopra la media, incapace di spiccare il volo.
Personalmente, la cosa che mi ha fatto apprezzare di più il gioco è stato proprio il doppiaggio, grazie anche alla presenza di Namikawa nei panni del protagonista, voce di Goemon nei film e nelle serie più recenti di Lupin e, al contempo, padrone assoluto nella scena di Hunter Hunter 2011 grazie alla sua interpretazione di Hisoka.
Consigliato per gli amanti del genere, ma comunque non una perla immancabile nella vostra collezione.[/stextbox]

Sull'autore

Gabriele Gemignani

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