Fated: The Silent Oath – Recensione

Il clan è andato. Non c’è più molto tempo. Conviene prendersi le proprie cose ed andare via.
Per salvare il salvabile. Per salvare quel che resta, anche se il viaggio sarà lungo, tortuoso. E probabilmente la destinazione non sarà per tutti.
Non sarà per me forse che sono qui, in bilico tra la vita e la morte. Non sarà per me che ho fatto di tutto in vita per proteggervi. Per proteggerci.
Non sarà per me, ed è buffo perché sono l’unico nel viaggio che nel Valhalla non ci crede nemmeno, sono l’unico a cui la morte non serve, non serve a niente; eppure sono qui, sento la voce di mia moglie da lontano che mi implora di restare, e io non capisco più quale viaggio è giusto intraprendere: un viaggio mi chiede di rinunciare a tutto, lasciandomi andare per sempre a qualcosa che non conosco; un altro mi chiede indietro la voce, per tornare, tornare e tentare di salvare Lei. Me lo chiede da una luce in fondo al buio, dal volto femminile e toni imperiosi, come se questo mondo a cui mi chiede di tornare l’avesse generato ella stessa. Come se questa lotta tra giganti ed esseri divini la riguardasse da vicino.
Mi dice che è importante. E che solo io posso farlo.
Ma sarà abbastanza? Sarò in grado di essere l’eroe che mi viene chiesto di essere?
Io che non credo, saprò credere in me?
Provo a rispondere ma posso solo scuotere la testa. A quanto pare ho già fatto la mia scelta: la mia voce se n’è già andata per sempre.
Mi guardo intorno mentre i contorni tornano a dividere le cose. Ho di nuovo accanto quel che resta del mio clan. Abbraccio mia figlia, a cui certo mancherà la mia voce ma che, tra le sue lacrime e il mio silenzio, mi chiama pur sempre ‘papà’.
Questo è il viaggio che ho scelto. Un viaggio dove il mio silenzio proverà a proteggere quel che resta.
Un viaggio dove il mio silenzio a capo chino, sarà il mio unico urlo di guerra.
Per proteggerli.
Per proteggerla.

Questa introduzione speriamo vi sia riuscita a catapultare un minimo nell’ambiente e nelle atmosfere che vi troverete attorno giocando a Fated: The Silent Oath, gioco indipendente sviluppato dallo studio Frima. Il gioco era stato rilasciato inizialmente per Oculus Rift e HTC Vive, ed è ora disponibile finalmente anche per Playstation VR.
Se i racconti fantasy vi hanno sempre stregato e non vedevate l’ora di averne uno intorno a 360°continuate a leggere qui sotto. E’ il momento di intraprendere un breve viaggio che siamo sicuri saprà regalarvi un’esperienza evocativa e assolutamente stimolante.

Torna indietro per salvarla

Fated ci racconta la storia della fuga di un clan sulla sfondo di una guerra tra giganti e antiche divinità. L’uomo in queste vicende ha lo stesso ruolo che hanno le formiche sul terreno di uno scontro; ci finisce inevitabilmente in mezzo. Potendo solo immaginare i motivi di questi scontri interpretando le antiche incisioni rupestri, tutto quello che può fare è fuggire, tentando nella foga di non perdere nessuno durante il tragitto.
Ed è proprio così che inizierà la vostra avventura a 360°: distesi su un carro nel pieno della migrazione state lottando fra la vita e la morte. Fra i richiami dei vostri cari ad un certo punto però un’apparizione di un’antica divinità vi chiamerà a sé per concedervi una seconda opportunità, solo al patto di scambiare con lei la vostra vita per la vostra voce.

La narrazione in Fated è di quelle che sorreggono tutto il prodotto ludico senza far avvertire alcuna mancanza di sorta. Procedono dritte senza dare molto respiro al giocatore, scontando forse un inizio troppo lento per la velocità a cui queste produzioni dovrebbero girare per limitare il timore che nella prima mezz’ora del titolo si avverte: quello di essere capitati in un gioco in cui svolgere solo tanti piccoli compiti concatenati.
Fortunatamente Fated a un certo punto scioglie le sue briglie bruscamente e decide che non si fermerà fino alla fine dell’avventura (molto breve anche per un titolo VR purtroppo). Un percorso lineare, ma orchestrato con dinamiche cinematografiche assolutamente riuscite. L’offerta narrativa vi immergerà in un percorso stentato, il semplice viaggio di un clan che viene lentamente eroso, continuamente separato fra le strade che si troverà a dover percorrere per sfuggire all’attacco di un mostruoso gigante avvolto nella nebbia.

La visuale in prima persona permette un grado di immersione che, fuso allo scontro latente sullo sfondo fra forze decisamente più grandi di noi, riesce a rendere la narrazione del gioco sicuramente una delle più riuscite su Playstation VR. Vi diciamo questo nonostante il gioco in realtà finisca proprio sul più bello, nel momento esatto in cui vi sarete così calati nella parte che quel mondo fantasy fatto di poligoni abbozzati sarà diventato un teatro leggendario da cui non vorrete più uscire. Ma tant’è: il gioco recide la narrazione in una maniera brutale, drammatica da stentare davvero a crederci, lasciando al giocatore solamente un grandissimo senso di incompiutezza con cui fare i conti.

Ed è un compromesso con cui dover fare i conti ma che i possessori di Playstation VR conoscono bene. Sanno di essere baluardi di territori inesplorati, e questo vale non solo per il gameplay ma anche per esperimenti narrativi di questo tipo. Nonostante lo shock vi possiamo assicurare che il gioco comunque riesce a immergere in una storia fatta di suggestioni assolutamente evocative, ritagliandosi uno spazio tra le migliori narrazioni (se non forse la migliore) disponibili per l’ecosistema del dispositivo.

Poco ma di tutto

A livello di gameplay Fated: The Silent Oath è invece estremamente lineare, non sperimenta particolari meccaniche originali, ma recupera e integra ottimamente molti degli elementi che ad oggi siamo stati abituati a vedere in titoli di questo genere. Si va dal risolvere piccolissimi puzzle ambientali a brevi (e abbastanza inutili) sezioni di shooting. Ognuna di queste esperienze vi sarà richiesta non più di una volta, elemento che fa capire come lo studio non abbia assolutamente voluto annoiare il giocatore con meccaniche ludiche che non hanno presa (soprattutto vista la brevità dell’avventura), ma, se dosate, riescono a dare quella minima varietà fatta di piccole alternanze utili ad accompagnare una narrazione che riveste il compito di vero traino dell’opera. La VR d’altronde è un modo per esplorare mondi, per immergere l’utente in maniera nuova nello storytelling; per comunicare messaggi tramite canali più diretti con piccole differenze. Ed è proprio qui che Fated si prende la sua unica libertà: quella di permettere al giocatore di rispondere tramite cenni del capo, scuotendo la testa per dire sì e no alle varie domande che i componenti del clan vi sottoporranno.

Se questo può sembrare un dettaglio (soprattutto perché ininfluente in termine di svincoli narrativi), non lo risulta in termini di effetto sul grado di immersione sperimentato. Il “no” in particolare riuscirà a trasmettere al giocatore tutto il suo vero peso, quello che rimane limitato quando lo si sperimenta premendo un semplice tasto su un joypad, ma che assume tutta la sua carica drammatica quando è fatto muovendo una testa che non trova parole per quel che ha visto, nell’apice del dramma narrativo che titolo vi porterà a sperimentare; trovarsi senza parole al pari del personaggio di cui si stanno vestendo gli occhi è un’esperienza che vale assolutamente il prezzo del biglietto.

Non si badi ai poligoni

Fated: The Silent Oath è sviluppato usando l’Unreal Engine 3 e chiede di venire a compromessi con le attuali abitudini estetiche del giocatore. Modelli poligonali essenziali, ambientazioni minimali (ma assolutamente caratteristiche) ci metteranno un po’ per farsi digerire, ma è un processo comune a molte produzioni VR a cui siamo ormai abituati. Ed è proprio bello notare come la VR aiuti una volta di più a superare i vincoli estetici, rendendo fruibili e coinvolgenti opere sviluppate senza mire fotorealistiche, quei parametri molto spesso inutili che rendono il medium videoludico schiavo di banali tecnicismi più che di un sano stile.

Le palettature cromatiche sono molto vivaci e la colonna sonora riesce a sostenere degnamente i pochi momenti in cui è chiamata in causa, dando il giusto tono leggendario alle vicende che racconta.
Pecca non da poco è la totale assenza di una localizzazione italiana, e si sottolinea addirittura la mancanza di sottotitoli in inglese. Per capire la storia non servirà certo una preparazione da madrelingua, ma è molto spesso spiacevole capire di essersi persi parte dei dialoghi per via di queste mancanze fuse a un’impostazione non corretta dei livelli acustici, che renderanno a volte difficile sentire proprio quel che i personaggi dicono (ad esempio, se dietro di voi).

[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]Fated: The Silent Oath è una di quelle produzioni che ti fa rendere grazie a Playstation 4 per aver deciso di supportare la VR e averci concesso questi viaggi, queste piccole parentesi abbozzate di un sogno più grande lì ancora in attesa di essere via via perfezionato. Riesce a coinvolgere pur nella sua brevità con piccole sequenze cinematografiche; riesce a raccontare la storia di un viaggio di salvezza creando un contorno leggendario in cui far muovere il giocatore sfruttando un forte appeal narrativo.
È certamente una delle migliori produzioni per Playstation VR, forse la migliore per capacità storytelling: una capacità mozzata da una profonda sensazione di incompiutezza finale con la quale bisogna fare i conti, scelta stilistica da cui il giocatore deve comunque lasciarsi coinvolgere, pur nel suo dramma dalle sembianze insensate. Un vero peccato il limite della lingua, ma anche per i meno avvezzi all’inglese consigliamo caldamente l’acquisto .
D’altronde l’esperienza di un viaggio è una lingua pur sempre universale [/stextbox]

Sull'autore

Alessandro Tonoli

Grande appassionato di Videogiochi fin dalla più tenera età (si narra sia stato partorito in ritardo in quanto non avendo salvato, non poteva uscire) si diverte a scrivere per questo o quell'altro sito pur di dare un suo piccolo contributo alla diffusione del Videogioco come mezzo, non solo ludico, ma anche artistico ed emotivo.
Da buon Boxaro preferisce i boxer agli slip.