Yooka-Laylee – Recensione

La nostalgia spesso può costituire un vantaggio, riaprire nuove prospettive ed esplorare nuovi orizzonti. Può essere una fiammella di radiosa speranza per il futuro, per il cambiamento, per tenere vivo un pezzo di storia e un presente e futuro che giorno dopo giorno appaiono meno concreti di quanto si immaginava. Può – e deve! – essere un punto di forza quando si tratta di un punto di partenza sul quale gettare le basi, che forse non ci porterà molto lontano ma che sarebbe giusto vedere dove; non può – e non deve! – essere un punto di destinazione.

Yooka-Laylee si propone di essere, senza mezzi termini, un punto di (ri)partenza per un genere che ormai sembra condannato a un lento e inesorabile declino. È un “omaggio” ai numerosi classici – come l’erede spirituale Banjo-KazooieSuper Mario 64, Donkey Kong e perfino Spyro the Dragon, benché ne sia enormemente influenzato – che hanno abbellito Nintendo 64 e la prima PlayStation durante il periodo degli anni d’oro. Un gioco tra alti e bassi, forse troppo ambizioso per uno studio così piccolo. Ma procediamo con ordine l’analisi del prodotto.

Yooka-Laylee

Operazione nostalgia?

Mentre il camaleonte Yooka e il pipistrello Laylee si godono un meritato riposo, il malvagio imprenditore Capital B si impossessa di tutti i libri del pianeta con un ingegnoso macchinario per svolgere un'”esemplare” azione finanziaria: avere il monopolio sulla carta e guadagnare un’infinità di soldi. Il duo decide quindi di imbarcarsi in un’avventura esplorando cinque mondi e un hub centrale – le Torri d’Alveorio – per raccogliere tutte le pagine magiche – conosciute come “Pagies” – nei luoghi più disparati e sventare i diabolici piani del villain.

La trama di Yooka-Laylee è incredibilmente semplice e priva di colpi di scena. In sostanza, Playtonic ha deciso di recuperare i più classici stilemi delle gloriose produzioni di Rare, anteponendo il fattore divertimento a quello narrativo. Senza contare poi che ha portato una nuova svolta alla formula platform: quella di regalarci un ampio grado di libertà d’esplorazione. È possibile gironzolare, completare sfide e missioni secondarie, scoprire e raccogliere miriadi di oggetti da collezione nell’ordine in cui si desidera. C’è un vero senso del progresso: si avanza senza alcun tipo di vincolo o restrizione, e si passa da un mondo all’altro in totale libertà ma a discrezione delle “Pagies” richieste. Lungo il percorso potremo interagire inoltre con una serie di personaggi che, a dire il vero, risulteranno essere fondamentali per terminare al 100% il gioco.

C’è Trowzer, un serpente di affari che indossa un cappello floscio e dei pantaloni come nessun altro, che ci insegnerà diverse abilità e tecniche offensive; Rextro, un dinosauro il cui aspetto a blocchi poligonali ricorda molto le fattezze grafiche per Nintendo 64, che ci invita a giocare sessioni arcade e multiplayer in locale con appositi gettoni su richiesta; e molti altri personaggi secondari, con i quali inaugurare una conversazione per avviare delle missioni, tra cui un ospite speciale – qualcuno ha detto il Cavaliere della Vanga di Shovel Knight?.

Platform open-world

Yooka-Laylee è un “collectathon” game dall’inizio alla fine, un open-world su una scala molto più piccola e con egregia cura e attenzione all’impostazione delle ambientazioni, un’esperienza dinamica e moderna. Eppure, benché traspaia almeno minimamente quello spirito e quella nostalgia indicibile dei “vecchi tempi”, c’è qualcosa che è andato storto e che richiedeva un po’ di minuziosità: seppur il gioco dimostri una grande audacia nella progettazione dei suoi mondi, non vi è un vero senso di sfida.

A questa palese mancanza che si fa sentire – eccome! – si accoda, purtroppo, un level design che compromette prepotentemente il senso dell’orientamento del giocatore – c’è, difatti, il rischio di perdersi durante l’incedere dell’avventura – una sceneggiatura fatta di dialoghi poco consistenti e suoni parafonici e gutturali che tendono a disturbarci, delle meccaniche di gioco certamente volutamente old-school ma fin troppo ripetitive e incredibilmente puerili, un sistema di controllo e una telecamera che, molte volte, si imbizzariscono. Nonostante questo, Yooka-Laylee non rinuncia a vivacizzare l’esperienza di gioco con qualche trovata impeccabile, tra guizzi d’ingegno e fasi platforming divertenti, che metterà alla prova le nostre capacità.

La produzione di Playtonic è una grande testimonianza dell’esemplare potenza visiva che può sfoggiare un engine mainstream come quello di Unity, se utilizzato come si deve. Il gioco è molto colorato e meravigliosamente dettagliato, con paesaggi e ambientazioni sicuramente poco ispirati ma compiutamente dispiegati e organizzati. Nonostante sia avverso da molti problemi, Yooka-Laylee ha un’anima incurante, come pienamente dimostrato dalla meravigliosa colonna sonora diretta da Grant Kirkhope e David Wise, i quali sono riusciti a raggiungere lo smalto e la brillantezza dei classici senza tempo. Dispiace però che Playtonic non abbia liberato tutto quel potenziale creativo racchiuso dietro al proprio lavoro.

[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]La nostalgia è “un desiderio di non si sa che cosa”, direbbe ancora Saint-Exupery. Una frase che si traduce in un impegno alla ricerca di qualcosa ormai andato perduto. Ebbene, lo confessiamo, è difficile valutare un’opera come Yooka-Laylee: per molti giocatori può rappresentare un’oasi di ristoro, per altri invece un rimorso di ciò che non è stato e che avrebbe dovuto essere. La realizzazione di Playtonic è, per noi, un gioco discreto e riuscito a metà. Un prodotto spassoso e intrigante, che certamente risalta la natura scanzonata e umoristica dei platform anni ’80 e ’90, ma pieno di lacune ingiustificabili che possono lasciare un (retro)gusto amaro in bocca.[/stextbox]

Sull'autore

Luigi Fulchini

Studente e uno dei fondatori di HavocPoint.it. Scrive di videogiochi.