Meta, 10% dei ricavi da annunci fraudolenti: cosa dicono i documenti interni e perché il problema è sistemico

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Meta avrebbe stimato internamente che circa il 10% dei ricavi 2024, pari a circa 16 miliardi di dollari, provenga da annunci fraudolenti e prodotti vietati veicolati sulle sue app. La stima emerge da documenti citati che ricostruiscono un’esposizione di tre anni a schemi d’investimento, gambling illegale e pubblicità di prodotti medici non consentiti. La fotografia suggerisce che le difese pubblicitarie non abbiano intercettato in modo sistematico una quota rilevante di campagne ad alto rischio.

Il meccanismo di mitigazione descritto prevede che gli account inserzionisti vengano disattivati solo quando la probabilità di frode supera il 95%. Sotto questa soglia, le campagne identificate come sospette vengono penalizzate con un costo più alto in asta per scoraggiare gli acquisti futuri. La controindicazione è evidente: se gli inserzionisti persistono, il maggiore esborso si traduce comunque in entrate aggiuntive per la piattaforma, creando un conflitto di incentivi tra integrità e monetizzazione.

La replica ufficiale di Meta contesta la ricostruzione, definendola “selettiva” e tale da distorcere l’approccio aziendale a frodi e scam. A sostegno, l’azienda afferma di aver ridotto del 58% le segnalazioni utente sugli annunci truffa negli ultimi 18 mesi e di aver rimosso oltre 134 milioni di inserzioni fraudolente. Resta tuttavia assente un contro–dato pubblico che quantifichi la quota di ricavi legata a campagne illegittime dopo gli interventi di mitigazione.

Per gli utenti, il rischio più immediato riguarda perdite economiche e furto d’identità, soprattutto per i target meno esperti colpiti da annunci che imitano brand affidabili o promettono rendimenti finanziari irrealistici. Per i brand, ambienti con alta densità di scam riducono fiducia, brand safety e performance delle campagne legittime, con possibili effetti sul costo opportunità e sul ritorno degli investimenti media.

Sul fronte policy, l’asse centrale è l’enforcement threshold. Un abbassamento della soglia di certezza dal 95% ridurrebbe la circolazione di annunci borderline, ma aumenterebbe i falsi positivi a danno di inserzionisti leciti e potrebbe impattare i ricavi. È il trade–off che regolatori e piattaforme dovranno governare, insieme a maggiore trasparenza su metriche verificabili: quota di ricavi riconducibili a categorie a rischio, tempi medi di rimozione, recidiva degli account e risultati dei sistemi di penalizzazione in asta.

Per i publisher e i team marketing, le contromisure operative includono creative verification con watermark/landing verificabili, whitelist di posizionamenti e pagine, monitoraggio delle anomalie di performance e uso rigoroso degli strumenti di segnalazione. Per i consumatori, è consigliabile diffidare di promesse di guadagno rapido, verificare l’URL di destinazione, evitare pagamenti fuori da circuiti sicuri e attivare l’autenticazione a due fattori per limitare i danni in caso di phishing.

In sintesi, i numeri indicano che la monetizzazione di campagne ad alto rischio è stata materialmente significativa, mentre Meta rivendica progressi nel contenimento delle frodi. La credibilità del miglioramento dipenderà da una disclosure periodica e verificabile da terze parti e da scelte tecniche che modifichino gli incentivi dell’asta pubblicitaria, riducendo la convenienza economica delle campagne fraudolente senza penalizzare gli inserzionisti legittimi.

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