NieR: Automata – Recensione

Quello di NieR: Automata è un mondo alla rovina, devastato da un’inestirpabile guerra tra due civiltà diverse; una guerra perpetua che non sembra aver mai fine. L’umanità che ha combattuto invano per secoli è ora caduta nelle mani di una razza aliena meccanica e delle sue orde di biomacchine. La Terra è sull’orlo di estinzione e quei pochi esseri umani sopravvissuti alla minaccia hanno trovato rifugio sulla Luna.

È un mondo senza futuro, è un progressivo dissolversi, è una realtà impensabile e meno che mai augurabile. Quel che era prima è adesso solo sconquasso e desolazione, la tragedia di un pianeta reso irriconoscibile. Ma la speranza di recuperare la dimora naturale è ultima a morire: dalla Luna, i superstiti si preparano ad eliminare la minaccia robotica creando l’unità YoRHa, un gruppo di androidi; soldati umanoidi che non provano né sentimenti né emozioni, ma appositamente concepiti per eseguire gli ordini – a prescindere dai sacrifici che dovranno compiere di fronte alla salvezza dell’umanità.

E così inizia il viaggio di 2B, combattente dall’aspetto rigogliosamente femminile, insieme all’alleato 9S – il cui compito è sostenerla – per portare a termine una missione cruciale: “dare all’umanità quel che è dell’umanità”.

Gloria all’umanità!

NieR: Automata ci aveva travolti di curiosità fin dal suo annuncio in pompa magna all’E3 2015, ci aveva travolti di gioia dal suo primissimo trailer gameplay alla PGW dello stesso anno.
Un’occasione persa, oseremo definire quella del suo prequel – sviluppato da Cavia – la quale, senza alcun tipo di dubbio e remore, aveva i requisiti necessari per imporsi ai vertici dei migliori GDR della scorsa generazione. Consapevoli del potenziale sprecato e delle sue risorse creative ancora esaurienti, Square Enix ha allestito su griglia per mettere tutta la carne sulla brace ricorrendo alle capacità di Platinum Games – esatto, quelli di Metal Gear Rising: Revengeance, Bayonetta, Vanquish e tanti altri – per creare un sotisficato action RPG profondamente ancorato agli stilemi classici dell’hack ‘n’ slash, un genere molto a cuore per lo studio giapponese capitanata da Shinji Mikami.

La presenza di Yoko Taro – director del sequel – conferma la solidità dei suoi temi cupi ed inquietanti che si disperdono nella narrazione, permettendoci di costruire un legame emotivo adeguato con i personaggi e gli eventi durante la nostra avventura. Raccogliendo poi il suo stile versato in Drakengard e in altre produzioni, in Automata Taro non ha solo rinvigorito solo le sue tematiche, ma è riuscito a contemplare tutta la sua follia sfrenata nella sua creazione – diciamocelo: senza alcun timore di imbarazzo – il tutto con un buon sostegno economico da Square Enix.

YoRHa 2B

La trama di NieR: Automata procede spedita per tutte e le venticinque ore dell’avventura principale. È come è destinata a restare: memorabile e introspettiva, con tanti dialoghi che non scivolano nella banalità nelle sequenze d’intermezzo e in-game. Tuttavia, è giusto precisarlo, occorrerà terminare la campagna tre volte nella quale poter avere un bagaglio narrativo completo del gioco.

Il divertimento offertoci, poi, è al di sopra di ogni considerazione. Come se non bastasse, alla conclusione delle run, si innalza il livello di rigiocabilità e potremo trovare un motivo in più per essere incollati dinanzi allo schermo – tranne a difficoltà “estrema”, ammettiamolo. Uno dei suoi punti di forza è rappresentato inoltre dalla struttura con la quale sono state impostate appunto le tre campagne giocabili: pur molto simili tra loro, si intrecciano tra loro esplorando il punto di vista di un personaggio diverso.

Più folle, più appagante

Le meccaniche di NieR: Automata sono il fiore all’occhiello del gioco della realizzazione, grazie a un sistema di combattimento maniacalmente curato: spettacolarità e dinamismo si uniscono per regalare scontri unici e dannatamente coinvolgenti con tutti i tipi di biomacchine, dalle più piccole ed insignificanti ad alcuni molto più imponenti e con un variegato arsenale alle spalle. Come vi abbiamo inoltre soprammenzionato, il progetto creativo di Platinum Games è – senza mezzi termini – un gioco principalmente votato all’hack ‘n’ slash, con annessi gli elementi ruolistici, in cui avremo a disposizione un sistema di controllo molto intuitivo, vetusto e strettamente legato agli altri titoli dello studio, oltre che ricco di soluzioni, il quale risponde a meraviglia al nostro controller.

YoRHa 2B può scagliare fendenti aguzzi, combinati ai proiettili del POD tramite la pressione del tasto R1; contemporaneamente, con l’intervento prevedente l’utilizzo di altri pulsanti, l’eroina può schivare gli attacchi nemici, esibendosi in salti o capriole. In aggiunta, la protagonista è chiamata ad affrontare una serie di missioni secondarie – alcune basilari per comprendere le varie sfumature della trama, altre – le quali verranno assegnate dai NPC sparpagliati qua e di là all’interno della mappa open world – si servono come pretesto per incrementare la longevità del gioco. Esageremmo se affermassimo che il combat system di Automata sia uno più frenetici e divertenti dai tempi di Bayonetta 2, uno degli altri giochi includenti nella libreria del team giapponese; ma, ad essere onesti, è ugualmente sorprendente se consideriamo che porti il loro sigillo – e la mano di Takashi Taura.

È possibile inoltre avere grande libertà di muoverci, senza tempi di caricamenti, in luoghi – pressapoco – aperti che collegano i vari punti di interesse nel gioco – che si tratti di una città in rovina, un deserto, una fabbrica o un parco divertimenti – molti dei quali completamente vuoti, salvo alcune eccezioni. Confrontando però la mappa con quelle delle ultimissime produzioni del calibro di Horizon Zero Dawn e The Legend of Zelda: Breath of the Wild, suscita quel pizzico di delusione poiché ci saremmo aspettati.

Più generi mimetizzati in action RPG

NieR: Automata alterna e miscela inoltre diversi generi, che vanno dallo shoot ‘em’ up a scorrimento verticale ed orizzontale al soulslike – sì, per il “sistema delle morti” che rievoca lo stile dei Dark Souls, il cui cadavere va recuperato lì dove saremo morti al fine di non perdere i chip, espedienti di differenti utilità che permettono di usufruire dei vantaggi, alcuni permanenti, al nostro personaggio. Insomma, un gran numero di selezioni che rendono omaggio ai corrispettivi generi di altri titoli, oltre che a elargire una sensazione inimitabile, quella che si prova giocando il prodotto. È innegabile però che Automata risulti un po’ complicato anche a difficoltà standard in cui è fondamentale avere un buon livello di concentrazione per superare gli ostacoli e anche una piccola distrazione può portarci dritto al game over.

NieR: Automata

Tra l’eccellente e il pessimo

Graficamente, NieR: Automata soffre gravi problemi per quanto concerne il ritardo dei caricamenti delle texture e – come avreste già intuito su – alcuni scenari che peccano per la mancanza di dettagli. A questo tasto dolente si aggiungono gli evidenti cali di frame rate, che da 60 scendono – nel peggiore dei casi – a 40, specie nelle fasi più concitate; frequenti pop-in che ledono la qualità visiva del gioco, per quanto le animazioni e i modelli siano di discreta fattura. La direzione artistica è invece meravigliosa, portentosa, incalzante: è qualcosa che contribuisce a innalzare smisuratamente il valore di NieR: Automata.

Il comparto acustico è roboante, niente da obiettare ulteriormente: quella di Keiichi Okabe e Keigo Hoashi è una colonna sonora ricca di pezzi sublimi. È strano e incredibile come alcune melodie calme e pacifiche riescano a seguire il ritmo frenetico dell’azione, il quale, a sua volta, trasuda adrenalina ovunque. Una musica coerente con lo spirito distopico e post-apolalittico di Automata; roboante e mozzafiato, che riesce a dimenticare le magagne tecniche del gioco. Grande prova, infine, quella scandita dal doppiaggio e dalle traduzioni.

[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]Nier: Automata è una delle sorprese del 2017, una gemma sfaccettata di vivace splendore. Che sia dovuto alla sua narrazione toccante ed emozionante, alla sua spettacolarità nei combattimenti, alla sua roboante colonna sonora, o alla sua versatilità che le permette di sposarsi con altri generi, non importa: Yoko Taro ha concentrato tutta la sua follia e personalità innegabile per creare un prodotto galvanizzante e inusuale. Un’opera che, seppur con i suoi difetti tecnici, dimentica NieR (2010) e sa come essere sorprendente, assurdo, drammatico; una di quelle monumentali, circondate da una bellezza disarmante e superlativa, e prive di qualsiasi sobrietà. Una di quelle che arrivano e che non te le aspetti.[/stextbox]

Sull'autore

Luigi Fulchini

Studente e uno dei fondatori di HavocPoint.it. Scrive di videogiochi.