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In seguito al turbolento post-La Forma Ultima e ai successivi licenziamenti, Destiny 2: The Edge of Fate arriva gravato da aspettative basse. Sebbene non riesca a spiccare il volo, offre un’esperienza che, con benevolenza, si può definire “accettabile”: un mix agrodolce di brillantezza narrativa e frustrazioni di gameplay.
Una trama avvincente, ma un mondo che non convince
Il punto di forza innegabile di The Edge of Fate risiede nella sua narrativa. La storia ci porta a Kepler, dove il Guardiano risponde a un SOS e si imbatte in una fazione fanatica della Casata dell’Esilio Eliksni, l’Archon Levazsk, una singolarità sull’orlo del collasso e gli Aionions, un gruppo di ricercatori umani. C’è molta carne al fuoco, e il team narrativo merita un plauso per essere riuscito a mantenere l’interesse e a svelare gradualmente i misteri, un’impresa non facile dopo la conclusione epica di The Final Shape. La curiosità per il prosieguo della saga, e per il significato del motto “I Guardiani forgiano il proprio destino”, è tangibile.
A impreziosire il racconto contribuiscono le eccellenti performance dei doppiatori. Debra Wilson (Ikora), Maggie Robertson (Orin) e Todd Haberkorn (The Drifter) offrono interpretazioni di alto livello, ma è Brian Villalobos nei panni di Lodi a rubare la scena. Il suo personaggio, che spazia dal nerd adorabile all’esaurito, è un capolavoro di caratterizzazione e vocalità, capace di affrontare situazioni estreme con un realismo disarmante e battute irresistibili.
Nonostante la qualità della narrazione e del doppiaggio, la destinazione di Kepler fatica a entusiasmare. Pur vantando la solita perizia artistica di Bungie in certi scorci suggestivi – l’imponente portaerei all’orizzonte o la maestosità della singolarità – l’ambiente stesso risulta spesso angusto e monotono. I paragoni con luoghi meno ispirati del passato di Destiny, come Tangled Shore, Titan o Venere, sono purtroppo calzanti. Anche con un discreto flow, Kepler non riesce a coinvolgere il giocatore a livello di gameplay, rendendo l’esplorazione post-campagna quasi superflua.

Gimmick ingombranti e un’offerta contenutistica limitata
Il gameplay dell’espansione, pur non essendo “irrimediabilmente cattivo”, non è all’altezza della trama. Il nuovo nemico mortale, per chi scrive, è il Matterspark. Sebbene esistano anche il Relocator (un cannone del Vuoto per teletrasportarsi) e il Mattermorph (per creare piattaforme), il Matterspark si rivela spesso clunky, troppo sensibile e causa di cadute rovinose. I suoi effetti visivi sono invadenti, e l’eccessiva integrazione di questa meccanica in ogni aspetto del gioco, dai puzzle ai boss fight, finisce per stancare. Verso il finale della campagna, con il destino del sistema solare in bilico, si desidera ardentemente uno scontro con un boss tradizionale, senza la distrazione di queste trovate. Senza i gimmick, gli incontri a difficoltà Leggendaria, con la loro densità di nemici, sarebbero stati solidi.
Le missioni della campagna e le quest secondarie riutilizzano spesso le stesse ambientazioni, alimentando ulteriormente la fatica con Kepler. La mancanza di contenuti freschi in aree cruciali è un altro punto dolente: non ci sono nuove Assalti o mappe del Crogiolo, e persino l’attività stagionale a sei giocatori manca all’appello. Le Esotiche sono poche, tre armi (quattro contando il raid) e tre pezzi d’armatura, e solo alcune offrono un interesse reale per il build-crafting. Questo, tra l’altro, è parte di un aggiornamento gratuito, non esclusivo dell’espansione, il che ne diminuisce ulteriormente il valore percepito.
L’attività per tre giocatori, The Sieve, è fortunatamente godibile. Nonostante riutilizzi una piccola sezione di Kepler, offre boss fight interessanti e una buona varietà di obiettivi. Il suo problema principale è la disponibilità a tempo limitato, una scelta di design incomprensibile nel 2025, che impedisce ai giocatori di godersela liberamente.
Per quanto riguarda il nuovo sistema di Armatura 3.0 e i Tier di loot, l’impatto sul build-crafting non è la manna dal cielo sperata. Molti bonus dei set sembrano poco ispirati, con l’eccezione dell’armatura Bushido. Le nuove meccaniche di difficoltà, come The Portal, offrono opzioni interessanti per la granularità della sfida, ma la permanenza di un delta di -50 di potere rispetto ai nemici alle difficoltà più alte rende il grind per l’armatura Tier 5 quasi controproducente. La ristrettezza delle attività da cui ottenere Pinnacle e la dipendenza da vecchie missioni Esotiche per il loot più interessante contribuiscono a una sensazione di mancanza.
In chiusura, il raid, The Desert Perpetual, è un punto luminoso. La sua natura non lineare e il focus sui boss sono apprezzabili, e fortunatamente, non ci sono tracce del Matterspark. Tuttavia, i giocatori meno inclini ai controlli di DPS potrebbero trovarlo ripetitivo.

Un’espansione per i fedelissimi
Destiny 2: The Edge of Fate non è un’espansione che si possa sconsigliare a priori, ma la sua raccomandazione è limitata ai fan più incalliti di Destiny 2 che apprezzano profondamente i personaggi e la lore del gioco. La qualità narrativa, le performance attoriali e il raid possono offrire sufficiente stimolo per alcuni, ma per molti altri, l’esperienza si posiziona appena al di sopra della media, faticando a giustificare il costo e l’attesa.