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Non lo nascondo mai: sono figlio degli anni ’90 e di quella valanga di prodotti pop che ci hanno travolto tra la fine del secolo e i primi Duemila. Ricordo ancora le mattinate estive passate davanti a Rai Due a guardare Digimon Adventure, per poi trascorrere le giornate tra carte, videogiochi per la prima PlayStation e mille altri mondi di fantasia.
Ma i Digimon, loro, non li ho mai abbandonati. Nemmeno dopo aver superato “una certa età”, e nemmeno dopo aver perso decine di salvataggi sui vecchi titoli per console.
Un anno fa ho deciso di rigiocare Digimon World, trovandoci tanti pregi ma anche un miliardo di difetti. Difetti che hanno segnato il cambio di rotta del franchise videoludico, pur restando un capitolo piacevole da rivivere.
Oggi però voglio parlarvi di Digimon Story: Time Stranger, il nuovo capitolo della serie approdato su PlayStation 5, Xbox e PC. E voglio farlo con lo sguardo di quel ragazzino che, durante le sue estati, sognava di vivere un’avventura accanto ai Digimon.

Sì, parlo di me.
Digimon Story: Time Stranger nasce con un obiettivo chiaro: modernizzare una serie che non ha mai smesso di pubblicare nuovi episodi, ma che da tempo non riusciva a fare davvero il salto di qualità.
Dal punto di vista tecnico siamo davanti al classico titolo giapponese: niente grafica fotorealistica o spettacolare, ma una ricerca di armonia tra personaggi e mostri digitali.
Il vero problema arriva quando ci si guarda attorno: gli ambienti di gioco sono spesso popolati da NPC statici, fermi come in un titolo per Nintendo DS o PS1. Perfino i vecchi Yakuza offrivano comparse più vive. Alcuni personaggi secondari, addirittura, non hanno nemmeno il volto — come se gli sviluppatori avessero riciclato pochi modelli 3D per riempire le mappe.
È un difetto piccolo ma evidente, soprattutto in un titolo che per il resto funziona davvero bene e segna un passo avanti rispetto al precedente. In fondo, questo è il gioco che noi fan aspettavamo.
E i Digimon? Sono splendidi.
Ogni modello poligonale, ogni texture, ogni colore sembra un atto d’amore verso chi è cresciuto con loro. Hanno carattere, presenza, e una forza visiva che colpisce fin dal primo incontro.
Questo, senza troppi giri di parole, è il miglior gioco dedicato ai mostri digitali mai arrivato su console.
Difetti ce ne sono, certo, ma restano sullo sfondo di un desiderio costante di migliorarsi. Capitolo dopo capitolo, la qualità cresce, e con Time Stranger ci troviamo finalmente tra le mani un titolo che ricorda Shin Megami Tensei per profondità e struttura, pur mantenendo intatto il fascino del mondo dei Digimon.

E allora com’è davvero questo Time Stranger?
Dopo ore passate tra evoluzioni, missioni secondarie e carte da collezione, posso dirlo con sicurezza: questa volta il viaggio nei server del Digital World ha un sapore diverso, più maturo e compiuto.
È come se, finalmente, ai fan fosse stato consegnato il gioco che chiedevano da anni.
Qualche incertezza rimane — il protagonista muto appiattisce certi momenti, e la gestione degli NPC resta un po’ datata — ma basta guardarsi intorno a Central Town per percepire il salto di qualità: i Digimon si muovono in ambienti vivi, costruiti con cura e rispetto, come se dietro ogni modello ci fosse un fan orgoglioso del proprio lavoro.
Da amante dei JRPG di fine anni ’90, ho sorriso nel ritrovare certe “rogne” familiari: menù infiniti, backtracking, un primo atto un po’ lento. Ma qui tutto viene compensato da una varietà di Digimon senza precedenti — oltre 450, tutti rimodellati da zero — e da un sistema di evoluzioni che soddisfa anche il giocatore più maniacale.
Puoi digievolvere “a ciclo continuo”, sperimentando nuove combinazioni e provando la stessa euforia di quando, da bambini, scoprivamo una nuova carta o una forma evolutiva inedita.
I combattimenti sono solidi e ben bilanciati: prendono il meglio da Shin Megami Tensei, con il sistema di attributi e debolezze che trasforma ogni boss fight in un piccolo puzzle strategico.
E se la trama a volte indulge in toni un po’ zuccherosi, l’energia degli Olympus XII e la libertà nel creare la propria squadra riportano tutto in equilibrio, lasciando spazio alla fantasia del giocatore.
No, Time Stranger non è un capolavoro assoluto.
Ma è quel punto d’incontro perfetto tra nostalgia e innovazione che mancava da anni alla saga.
Un invito, tra un grinding e uno scambio di carte, a riscoprire quel brivido dell’estate 2001 — quando i Digimon non erano solo pixel, ma compagni pronti a crescere con noi a ogni evoluzione.
Se avete sognato almeno una volta di vivere una grande avventura digitale, questo titolo vi darà qualcosa che mancava da tempo: la sensazione di essere tornati davvero a casa.
I Digimon, con i loro difetti e tutte le loro meravigliose stranezze, non sono mai stati così vivi.
E questa, ve lo garantisco, è una magia che vale la pena rivivere oggi più che mai.









