Genere: Animazione, Avventura, Commedia, Family
Regia: Travis Knight
Durata: 101 minuti
Produzione: LAIKA Entertainment
Distribuzione: Universal Pictures
Uscita: 3 novembre 2016
Che cos’è la stop-motion se non la magia del movimento? Un movimento impercettibile reso possibile dalla costanza, dalla perizia e dalla cura per i più piccoli dettagli dei suoi creatori; un’arte antica che è andata perfezionandosi di anno in anno definendosi in varie forme e sfruttando le ultime scoperte tecnologiche per dare vita a nuovi linguaggi, a nuove strutture visive. Ma la tecnica più pura dell’arte animata, quella più concretamente avvicinabile alla cinematografia in senso stretto, più coinvolgente e riconoscibile, è senz’altro la puppet animation.
La Laika Entertainment, studio d’animazione statunitense, si è contraddistinta proprio nella ripresa frame by frame di pupazzetti creati ad hoc per creare lungometraggi di notevole pregio e avendo esordito con La Sposa Cadavere diretto da Tim Burton è riuscita ad ottenere un riconoscimento mediatico non indifferente. Kubo e la spada magica, loro ultima fatica, è la riprova della passione, della conoscenza del mezzo e delle velleità artistiche di uno studio che ha saputo mantenere una certa classicità di realizzazione senza per questo rimanere nella nicchia dei suoi cultori.
Kubo e la Laika magica
In una ridente cittadina del Giappone feudale, un ragazzino di nome Kubo si guadagna da vivere raccontando storie fantastiche agli abitani del suo villaggio. È la magia ad animare gli origami che Kubo utilizza durante le sue narrazioni ed è sempre la magia la causa della sua condizione fisica: il ragazzo cantastorie è infatti l’ultimo discendente di una potente famiglia di stregoni, il cui nonno lo ha privato di un occhio quando ancora era in fasce. Una notte braccato dalla famiglia della madre, che reclama l’altro occhio, sarà costretto a fuggire per intraprendere un viaggio di formazione al fianco di una scimmia e uno scarabeo.
Purtroppo guardando a primo impatto Kubo e la spada magica si ha l’impressione di assistere a un’opera incompleta a tratti ripetitiva, che arranca nei soliti cliché dei film di formazione: il boss di fine livello, l’equipaggiamento utile alla battaglia, i comprimari un po’ strani e le quest da superare. L’avventura di Kubo diventa però un pretesto di metanarazione e di metanimazione (passateci il termine) perchè come accennato in precedenza, la capacità di infondere letteralmente vita nei pupazzetti inerti dallo studio statunitense, si riflette nelle doti magiche del ragazzo cantastorie. È durante il pellegrinaggio alla ricerca dei componenti dell’armatura che gli consentiranno di sconfiggere il nonno, che prenderà coscienza di sé e dei suoi poteri, retaggio di un’antica famiglia che lo rendono capace di animare i più disparati fogli di carta con l’accenno melodioso del suo shamisen, al fine di ricongiungersi con il suo passato e dare un finale alla propria malinconica storia.
Nel mentre che paesaggi innevati, villaggi nipponici e scenari folkloristici si alternano a schermo in un tripudio cromatico di innegabile fascino, reso ancor più coinvolgente dalla perizia tecnica dei suoi animatori. La Laika si è stavolta impegnate a fare uso anche della CGI, nei punti chiave e senza snaturare un lavoro d’arte plastica con cui si sono sempre contraddistinti, e il risultato è una gioia per occhi e orecchie. I dialoghi sono ridotti all’osso ed è la colonna sonora a imporsi nei momenti più intimi e mistici: il vociare della natura diventa protagonista della narrazione e accompagna la direzione di Travis Knight, qui al suo debutto, con la stessa poesia di messa in scena degli animatori d’oltre oceano.
In particolare il regista deve essere debitore dello Studio Ghibli, casa di produzione pionieristica nella trattazione di tematiche più mature e comparabili ai film d’autore europei, che non disdegna approfondimenti psicologici legati alla morte e alla vita. Anche in Kubo d’altronde non mancano risvolti drammatici e malinconici che di rado si possono trovare nelle produzioni statunitensi.
Se tecnicamente ed esteticamente Kubo e la Spada Magica è un film di altissimo livello, non si può dire lo stesso della sua struttura narrativa: i momenti di stanca nella parte centrale e la banalità di una trama che avrebbe necessitato uno scorrimento più articolato e coinvolgente, non lo rendono sicuramente l’opera migliore della Laika (che aveva già abituato critica e pubblico a opere ben più complesse e riuscite). Peccato, perché i presupposti erano quelli dei grandi capolavori d’animazione.
Commento finale
Nonostante i difetti narrativi, la visione d’insieme ci appare in tutta la sua prorompete qualità estetica e la malinconia che pervade la storia di Kubo, i suoi disastrosi legami famigliari e i suoi valori di amore e determinazione diventano il punto cardine di un film che ha saputo costruirsi una propria identità. Una via di mezzo tra l’arte animata nipponica e quella americana.