Quando si parla di ‘guerra’ molte volte si pronuncia un termine di cui propriamente non si hanno ben chiari i significati. Vengono in mente immagini, reperti – video documentari – numeri, testimonianze- ragioni politiche- sacrifici eroici stampati su lapidi, monumenti ricaduti poi su libri di storia che ci hanno da sempre tentato di educare al meglio, riconoscendo un giusto e uno sbagliato in ogni cosa, a seconda della nostra scuola di appartenenza. Tutti questi elementi completano un quadro che colpisce sicuramente per la sua durezza, rievocando quella sorta di educato rispetto reverenziale che gli è dovuto, portatore di eloquenti silenzi più che di scontate e inappropriate parole.
Ma, manca qualcosa. Manca sempre qualcosa.
Partiamo con il dire che la maggior parte delle persone che leggerà queste righe la guerra non l’ha vissuta manco di striscio, e se è per questo, neanche noi che ne scriviamo.
Ed ecco che quindi, già in partenza, troviamo l’elemento cardine mancante e si mostra piano piano in tutta la sua ovvia interezza: l’esperienza.
Un elemento con cui nessuno di noi si augura di fare mai i conti, ma che, è, e risulterebbe fondamentale per capire appieno quella terminologia che già ora comincia a farsi più distante, più oscura e meno eloquente di quanto si è portati istintivamente a pensare.
Cosa si può fare quindi per non rinunciare a comprendere appieno un così importante significato?
Si può sensibilizzare.
Proprio in questo si è impegnata Ubisoft Montpellier, che dopo la grandissima risposta di pubblico raccolta conChild Of Light, cambia bruscamente rotta passando dalla fiaba fantasy ad un racconto più crudo, senza rinunciare ad un comparto artistico comunque contraddistintivo (l’UbiArt), tanto da riuscire a ritornare quasi sui suoi stessi passi, creando una sorta di strana, e decisamente affascinante, fiaba di guerra.
Valiant Hearts.
Questo è il titolo dell’avventura grafica rilasciata l’ormai passato 25 Giugno per Pc, Xbox 360, Ps3, e consorelle next-gen.
Un’ avventura grafica che prende in prestito le caratteristiche classiche di questo genere solo per modellare un gameplay utile a spacciarsi come videogioco ed entrare così nelle nostre console senza particolari stenti, vista l’aridità in cui verte il genere storicamente: sviluppo della scena rigorosamente 2D, rompicapi risolvibili tramite l’utilizzo di oggetti e poco più. Questo è il travestimento.
Dietro, invece, c’è quello che si potrebbe definire un vero e proprio documentario di guerra.
Valiant Hearts è, prima che un gioco, una vera e propria cronaca dal fronte da punti di vista differenti- ma incrociati.
La cosa non è di per sé esaltante se vista in questi termini, ve lo concediamo. Ma basta soffermarsi sull’introduzione e sui primi minuti di gioco per trovarsi curiosamente incastrati in quella che, più che assumere palesemente i tratti di una mera documentazione, si traveste abilmente in salsa cartoonesca da una sorta di graphic novel muta (se non negli intramezzi tra un quadro e l’altro), più colorata e vivace che mai.
Ma, è bene fare attenzione: i primi minuti dell’avventura, i primi buffi dialoghi gestuali dei personaggi, creano un’illusione con la quale chiunque si avvicinerà a questo gioco sarà destinato a scontrarsi, e a cui finirà ingenuamente per credere.
Abile illusionista Valiant Hearts si spaccia così dannatamente bene per un’opera leggera e spensierata che farà fatica a credere a se stesso quando, dalle spensierate atmosfere parigine esuberanti, passerà alle più spietate battaglie di trincea. Lo stile cartonesco è una menzogna letale ed infame, perchè proprio questo dà vita ad una sensazione di distonia palese e, a tratti, veramente agghiacciante, per le vicissitudini orribili che inaspettatamente ogni volta, ci porterà a visitare senza il minimo filtro.
Nulla ci verrà risparmiato: l’abbandono della propria famiglia, il distacco forzato per anni, l’uccisione di propri compagni, il fango, le morti per asfissia, i silenzi di un campo di cadaveri, e i casi crudeli che il destino molte volte organizza, facendo passare un uomo da improvvisato salvatore – a spietato nuovo bersaglio. Un pugno nello stomaco vagante, costantemente appeso tra la risoluzione di un puzzle e l’altra.
E’ un opera, questa, di cui è realmente difficile discuterne il valore, tanto è l’apporto umanistico che si porta con sé. Le lettura delle reali lettere di guerra, i crudi approfondimenti accompagnati da colonne sonore che da sole basterebbero a smuovere gli animi più rigidi ed intransigenti creano un prodotto che va ben oltre il suo intento, e sfocia, dall’utile ludico, al più nobile intento di sensibilizzazione.
Una vittoria importante per il mondo videoludico, tacciato spesso di sfruttamento della violenza solo per produrre altra violenza, o di semplificarla al punto da renderla pane di tutti i giorni, sdoganata come un tabù ormai sfatato.
Risorge, il videogioco, da quelli che sono sembrati i suoi mali, e sensibilizza meglio di un libro di storia, al quale potrebbe benissimo essere affiancato per contenuti e serietà di trattamento degli stessi. Grazie all’interazione, e il punto di vista di per sé più immersivo che ci offre, i suoi insegnamenti arrivano a toccare in maniera unica e riescono a non farsi dimenticare con tanta facilità. Quello che Valiant Hearts riesce a trasmettere al massimo della sua forza semantica sono i contenuti cardine educativi che fin dalle scuole primarie provano ad insegnarci, a fianco dei fatto storici: l’insensatezza della guerra. Soldati completamente espropriati dei loro destini per scelte distanti, così superiori da recepirne solo l’ipnotico ritornello nazionalista, e portati a combattere una guerra, che, a priori delle bandiere, non sarà mai – la loro. Loro contadini, loro lattai, loro droghieri: non le macchine omicide pensanti su cui muovere i propri scopi. Si arriva, grazie a queste documentazioni così umane, a toccare il concetto generale di giusto e di sbagliato, e a trovarlo così totalmente distante da far perdere qualunque convinzione retorica sulla validità di questi scontri. Arriviamo a percepire- stupendamente grazie al cartoonesco cel-shading che qui trova tutta la sua grande motivazione– un dipinto buffo, di due fazioni impegnate come bambini a farsi scherzetti per vincere una partita di un qualche gioco che pretende, in palio, la vita.
C’è questo da un lato, ma dall’altro ci sono le 4 storie che vanno a creare l’intreccio che la trama principale segue, e di parallelo a tutte queste cupe argomentazioni esse riescono ad essere realmente toccanti, seppur decisamente stiracchiate ed eccessivamente esuberanti alle volte a livello narrativo.
Ci sembrano due contraltari utili e complementari: da una parte la fiaba di guerra che il racconto riesce ad essere; dall’altra la mole di realtà che Valiant Hearts vuole doverosamente -approfondire e non lasciare sullo sfondo.
E’, nonostante questo, vero il fatto che si tratta pur sempre di un videogioco e come tale va sottolineato che, nonostante l’ottimo intento, la fase di gameplay soffre di eccessiva staticità e la povertà degli enigmi crea delle fasi di noia nella parte centrale che metteranno a volte a dura prova la pazienza del giocatore.
Ma questa non è una recensione quindi non ci perderemo sul descrivere particolarità ovvie e difetti che provengono da pregi che altrimenti non vi sarebbero potuti essere.
Valiant Hearts sa farci tornare a scuola con più interesse di prima, sa far percepire, grazie all’esperienza che interagendo fornisce, argomenti nascosti dietro a pagine solitamente incolori, fredde e statiche da generazioni di insegnamenti ripetuti a cantilena come una scialba poesia di natale.
E’ la dimostrazione che il videogioco, come tutti gli altri medium, ha la possibilità di essere tutto: sfogo, divertimento, evasione, e anche, nobile testimonianza.