Homefront: The Revolution – Recensione

La guerra non cambia mai, dice qualcuno. Per altri invece la guerra è cambiata. Non sappiamo in realtà come sono i fatti, ma sappiamo per certo che il progresso videoludico nel campo dei titoli a sfondo bellico non è sempre così positivo come si potrebbe pensare. Creare una trama con lo sfondo realistico non è semplice e inserirci dei personaggi capaci di dare uno straccio di emozione è ancora più complesso. Nel 2011 Homefront ha però regalato agli utenti un’esperienza davvero interessante usando l’invasione coreana come sfondo per le vicende. Una storia cupa, triste e in pieno crescendo di eventi catastrofici. Dopo qualche anno e dopo diverse software house, sbarca nei negozi Homefront: The Revolution, che però sembra privo di quella scintilla che ha reso il suo predecessore un grande titolo.

L’ombelico del mondo

Quella di Homefront: The Revolution è una storia complessa, per quanto riguarda la programmazione e progettazione. Il titolo è nato nelle mani di Crytek UK, per passare poi alla nascente Dambuster Studio, che per inciso non ha fatto un ottimo lavoro. La storia del gioco verte nuovamente attorno alla conquista degli Stati Uniti d’America da parte della Corena del Nord, ma stavolta il tutto avviene tramite la progressione tecnologia del paese e della sua azienda, Apex, che dopo aver venduto per anni la tecnologia e le armi agli USA, decide di spegnere ogni dispositivo in seguito alla bancarotta americana e per facilitare l’invasione. Oltre alla grande militarizzazione del paese e del volta sguardo del resto del mondo, ci sono i ribelli che dall’interno combattono una guerra che in realtà è più grande di loro stessi. Noi andremo a interpretare proprio uno dei soldati della resistenza, che dopo alcune prime sfortunate battute si ritroverà in un gioco che è davvero più grande di lui.

La storia del gioco ha dei pro e dei contro che dobbiamo elencare per forza di cose. L’inizio, nonostante un certo pathos, è molto simile a tanti altri prodotti del genere, senza riuscire ad attrarre il giocatore, se non per la violenza che alcuni personaggi dimostrano di avere. Il tutto viene poi scemando man mano che si prosegue nel cuore dell’avventura, che si rivelerà essere abbastanza piatta e noiosa. Insomma, quel primo gioco, che creò scalpore in molti paesi, venne bandito e censurato in altri è letteralmente scomparso. La scelta è ovviamente chiara: vendere un po’ ovunque senza rincorrere in quelle censure e bandi.

Bisogna inoltre dire una cosa, che però per molti non sarà importante. Gli sviluppatori hanno più volte parlato della volontà di emulare in un certo qual modo Half Life 2, rendolo un open world. Il nostro approccio con il titolo è stato infatti persuaso dall’aspettativa di vedere qualcosa di quel gran capolavoro di casa Valve, ma purtroppo cosi non è stato. Ad eccezione del protagonista muto e dei nemici che parlano in modo strano, dell’aria di Half Life non è rimasto assolutamente niente.

Homefront: The Revolution

Stealth? Cosa sarebbe?

Un gioco open world di questo calibro fu mostrato fin dalle prime battute pieno di libertà d’azione e d’esplorazione e ciò è vero, almeno in parte. La mappa del gioco può sembrare grande, ma in verità la suddivisione da fare è quella delle mini mappe e nonostante dovremo viaggiare da una parte all’altra della città, si tratterà infondo al massimo di 600 metri da percorrere, ma almeno inizialmente questi spostamenti saranno complessi e ben studiati. Ogni via è pattugliata da un gruppo di soldati con a seguito un drone e non sapremo mai l’effettivo range visivo di cui sono dotati. Ingaggiare uno scontro a fuoco nelle prime battute sarebbe un suicidio, sopratutto per via dei cecchini appostati in diversi palazzi, che non ci daranno tregua e quindi si preferirà la via dello stealth. Questi però è davvero astruso e complesso in quanto il personaggio che guideremo sarà spesso pervaso dal fare quel che gli pare e capiterà più volte di dover saltare anche quattro volte pur di salire su di un piano. La stessa cosa per uscire dalle finestre. Ci saranno delle volte in cui battere un boss a Demon’s Souls vi sembrerà più facile che salire sul tetto o entrare in una casa. Ciò non giova a quei momenti in cui bisogna essere silenziosi e letali, sopratutto in prossimità dei soldati nemici.

La positività del level design sta nel fatto che è sviluppato sia in orizzontale sia in verticale. Gli edifici, nella gran parte, possono essere esplorati e talvolta saranno il nostro fortino per quanto riguarda la difesa. Anche qui però dobbiamo dire che poche case di differenziano, mentre per la maggior parte si tratta di un copia e incolla di palazzetti identici, che finiranno solo per disorientarci.

Nel corso del gioco potremo poi ingaggiare fino a quattro membri del team che ci seguiranno in giro per la mappa e ci daranno manforte durante i momenti di grande pericolo. Questo almeno sulla carta. L’intelligenza artificiale dei nostri alleati non permette alcun approccio stealth con il nemico e se vi portate dietro la vostra piccola legione allora dovete essere pronti a combattere ogni qual volta si avvista un nemico, anche lontano. I gentili compagni ingaggeranno in automatico la lotta, mentre i nemici inizieranno a sparare anche su noi, nonostante la mimetizzazione e ogni precauzione presa. Una gran fregatura quella dei compagni insomma e mai come ora serve il detto: Meglio soli che male accompagnati. Per spostarci potremo usare anche le moto, che potranno portarci da una parte all’altra della città in pochi istanti, ma grazie al motore grafico bisognerà essere dei Valentino Rossi per andare più o meno bene.

Le armi che andremo a padroneggiare saranno davvero di vario tipo e abbastanza personalizzabili a essere onesti. Con la progressione delle missioni andremo a ottenere sempre più denaro, necessario per le modifiche, ma altresì potremo avvalerci di esplorazione e una sorta di crafting primordiale. Ogni pc o televisore rotto avranno dei pezzi di valore che ci torneranno utili per la vendita al mercato e quindi il guadagno. Molti degli oggetti utilizzabili come le granate, le molotov etc le potremo poi costruire proprio grazie agli oggetti che andremo a raccogliere in giro o derubando i nemici uccisi. Con grande sorpresa abbiamo sentito il feeling con le armi da fuoco davvero eccellente e il rinculo si fa sempre sentire, creando cosi la necessità di abituarsi a ogni tipologia di queste. I mirini ottici per quanto migliorino leggermente la mira non rendono comunque il giocatore un terminator e sta alla sua bravura colpire il nemico nel posto gioco con un buon tempismo. Non sarà comunque difficile visto che i nemici sono dotati di un intelligenza artificiale minimamente credibile. Se però a tutto ciò si fosse abbinato un comparto grafico degno di nota allora avremmo anche potuto far finta di niente.

Homefront: The Revolution

Gli occhi piangono

CryEngine è un motore grafico molto particolare che nelle giuste mani può fare davvero degli spintoni in avanti, nonostante poi distrugga le GPU con la sua potenza gigante. Purtroppo non ci siamo trovati in buone mani, da nessun punto di vista. Il mondo di gioco fin dai primi trailer non aveva convinto per il suo lato grafico, ma giocando la sensazione è quella di camminare ubriachi con dei pesi sulle gambe e un protagonista che ha litigato con ogni arto del suo corpo. La lentezza dei movimenti, unita a un frame rate che non è solo instabile, ma addirittura fastidioso, non vanno a braccetto con il comparto grafico, che piange. Non è un modo di dire, il nostro. I modelli poligonali dei veicoli, edifici e una qualsiasi cosa sono giganti e davvero in bassa risoluzione e stridono in modo forte con i personaggi, che sono bene o male somiglianti a delle persone reali. Non abbiamo mai avuto l’occasione di trovarci davanti a degli scenari current gen e ci dispiace davvero tanto in quanto questo poteva essere un degno seguito di quel primo gioco. Gli effetti di luce creano delle ombre che talvolta si vedono, altre volte sembrano non esistere.

Il sonoro del gioco ci ha però divertito e non poco. Le voci durante i scontri a fuoco creano una giusta sensazione di guerriglia. Il piccolo esercito che andremo a guidare, senza molti mezzi comunicherà ogni cosa con la voce, facendo sembrare il tutto abbastanza realistico.

[Tweet “La sensazione è quella di camminare ubriachi con dei pesi sulle gambe e un protagonista che ha litigato con ogni arto del suo corpo”]

Non ci siamo trovati davanti a un gioco AAA con diversi anni di sviluppo o almeno non abbiamo percepito minimamente questo fattore e probabilmente questo segnerà la fine definitiva del franchise Homefront, che è stato gestito male con il secondo capitolo e che lo stesso team di sviluppo avrà delle problematiche con i prossimi titoli. Homefront: The Revolution potrebbe essere uno dei punti più bassi dei giochi AAA della current gen, segnando l’insegnamento per i sviluppi futuri sul cosa non bisogna fare.

Homefront: The Revolution

In multiplayer si gioca… meglio

Homefront: The Revolution è un titolo con una componente multigiocatore che vi da la possibilità di affrontare alcune missioni con altri tre giocatori e questo bene o male riescono anche a divertire se ci si trova con un gruppo affiatato. Le mappe sono ovviamente molto più piccole, ma permettono comunque di spostarsi sulla moto, cosa che abbiamo apprezzato.

COMMENTO: 

Quello di Homefront: The Revolution è un fallimento sotto quasi ogni aspetto e purtroppo accostare questo titolo a un colosso come Half Life non fa bene a nessuno. Graficamente ci troviamo di fronte a un titolo della vecchia generazione e il frame rate rovina anche quest’esperienza. La storia, pur iniziando abbastanza bene, prosegue in modo blando, stancando il giocatore dopo le prime battute. Purtroppo ci saremo aspettati altro da questo titolo.

Sull'autore

Rostislav Kovalskiy

Un giovane appassionato del mondo videoludico e di tutto ciò che lo circonda. Cresciuto con i videogiochi e libri tra le mani ha deciso di unire la sua passione per la scrittura con quella per i videogiochi ed ecco perché si trova qui.