Kingdom Come: Deliverance – Recensione

Il logo ufficiale di Kingdom Come: Deliverance
Questo sito contiene diversi annunci Amazon. A ogni vostro acquisto riceviamo una piccola commissione.

Kingdom Come: Deliverance è un RPG open world ambientato alla fine del quattordicesimo secolo, precisamente negli anni dello Scisma d’Occidente. Venceslao IV, detto il Pigro, figlio primogenito e successore dell’amato re Carlo IV al trono di Boemia, è stato rapito da una congiura di nobili stanchi della sua incompetenza a governare. Il fratellastro di Venceslao, Sigismondo d’Ungheria, approfitta dunque per invadere la Boemia e devastare tutto ciò che trova sul suo cammino. Andiamo insieme a vedere se vale la pena immergersi nel quattordicesimo secolo con i ragazzi di Warhorse Studios.

Una scrittura eccellente

Sfortunatamente verrà coinvolto nell’opera di distruzione di Sigismondo anche il villaggio del protagonista Henry, figlio di un fabbro della Boemia. Il ragazzo però riesce a sfuggire alla morte, ma la sua famiglia e gli amici più cari non hanno la stessa fortuna. Kingdom Come: Deliverance non parte però subito coi massacri. Inizialmente il giocatore viene messo davanti a una sorta di prologo, dove Henry si risveglia dopo una notte di divertimento sfrenato. Il protagonista, dopo un dialogo con sua madre che ci introduce a qualche meccanica basilare di gioco, viene chiamato in aiuto dal padre per portare a termine alcune commissioni. Inizialmente l’ambientazione può apparire a una prima occhiata simile a quella di qualsiasi videogame fantasy, ma aguzzando la vista mi sono reso conto dell’accurata ricostruzione storica operata dai ragazzi di Warhorse Studios. Case spoglie, mobili ridotti all’osso, strade zeppe di letame e fango, animali e uomini che convivono e nessun tesoro nascosto, ad esempio, nel forziere di un umile contadino. Troverete soltanto i suoi strumenti per lavorare nei campi.

Una scena di combattimento presente in Kingdom Come: Deliverance
Una scena di combattimento in Kingdom Come: Deliverance.

L’esperienza offerta da Kingdom Come: Deliverance permette di respirare a pieni polmoni l’aria del quattordicesimo secolo: ascoltare le opinioni e i discorsi dei locali, cosa ne pensano degli avvenimenti storici in atto e discutere assieme a loro. Fa tutto parte del pacchetto di realismo offerto da Warhorse Studios e non vi ho rivelato ancora nulla.

Henry è un ragazzo come tanti, ama girare il mondo, le ragazze, la birra e divertirsi con gli amici, allo stesso tempo però è un uomo devoto, con uno spiccato senso dell’onore e che nutre grande rispetto per le autorità. In base alle nostre scelte però questi valori verranno rafforzati o messi in crisi e il tutto avverrà in modo graduale, al passo con l’avanzare della trama. Gli addetti alla scrittura di Kingdom Come: Deliverance hanno svolto un lavoro eccellente: l’intreccio narrativo è degno di tal nome e la sostanza non manca. I dialoghi sono ben congegnati e le emozioni dei personaggi palpabili dal giocatore.

Il conflitto fra il voler esaudire i propri desideri e l’impossibilità di riuscirci è sempre presente, e si traduce anche per il giocatore in soluzioni narrative degli autori inaspettate. Ad esempio, non aspettatevi di vedere scene licenziose alla The Witcher appena si presenta l’occasione fra due personaggi, in Kingdom Come: Deliverance domina il realismo, non la lussuria.

Il sistema di gioco, fra alti e bassi

Le missioni che verranno affidate a Henry vanno di pari passo con la progressione del suo status e, in generale, si può apprezzare una certa libertà d’approccio per quasi ogni compito che ci viene assegnato. Ciò vale anche per le missioni secondarie, via via più complesse. Passando poi al cuore del gameplay, diverse cose mi hanno fatto storcere il naso, basti pensare a com’è stato pensato il sistema di scassinamento mal calibrato. La rotazione della serratura è troppo lenta, nel caso del controller, o troppo veloce se si utilizza un mouse. Aggiungi poi che i grimaldelli costano e si rompono facilmente, e come si risultato si ha un grande senso di frustrazione, soprattutto nelle fasi iniziali di gioco. Perfezionando le abilità del nostro personaggio il processo di scassinamento diventa più leggero da affrontare, ma potete capire che scassinare con un grimaldello la cui rottura, che fa anche rumore, è dietro l’angolo, può far balenare facilmente nella nostra mente il pensiero di lanciare il disco dalla finestra.

Altro neo del gameplay è il sistema di borseggio, che prevede da parte di Henry l’arrivo dietro le spalle della persona da derubare, l’infilare una mano nella tasca della vittima e poi pregare tutte le divinità dei videogames. Perché dopo la mano in tasca parte la selezione di uno slot attivo da una ruota, all’interno della quale si trova un oggetto. Se tutto fila liscio ci si porta a casa qualcosa di valore, se tutto va male si viene inseguiti dalle guardie e tanti saluti.

Una passeggiata a cavallo in Kingdom Come: Deliverance
Una passeggiata a cavallo, la quiete prima della tempesta?

Difficilmente il giocatore vorrà scegliere per le proprie missioni un approccio da ladro e borseggiatore se non obbligatorio. Molto più conveniente è la pratica nell’arte dell’oratoria, che rappresenta uno degli elementi vincenti di Kingdom Come: Deliverance. Nonostante il gioco offra durante i dialoghi delle semplici scelte multiple, allenarsi in oratoria, aumentando il carisma e la capacità di intimidire di Henry, avremo un maggior numero di scelte a disposizione.

L’esito di un dialogo e come esso è strutturato dipende inoltre da una serie di fattori che insieme arricchiscono la visione realistica di Warhorse Studios: come ci si veste, la pulizia degli abiti, la fedina penale di Henry e anche il rango del personaggio con cui stiamo conversando. Tutto conta in Kingdom Come: Deliverance per prevalere sugli altri durante una conversazione. A tal proposito è possibile darsi una ripulita per evitare di andare in giro lasciandosi dietro un olezzo nauseabondo, ma lavarsi non è obbligatorio. Se non lo farete, potreste sorprendervi delle missioni secondarie scaturite da tale “scelta di stile”.

Per far crescere Henry nel modo in cui desideriamo, dovremo compiere spesso una determinata azione e assegnare i punti ottenuti a una fra le numerose abilità dispobili. Fra le più originali vi segnalo la possibilità di scegliere di avere più carisma con le donne indossando abiti più consumati, oppure privilegiare le conversazioni con i cittadini di più alto rango a scapito dei più umili. Tutto è pensato nel minimo dettaglio e, per fortuna, tutto viene spiegato.

Il combat system, il punto più dolente della produzione

Inutile girarci intorno, ho deciso di dedicare una sezione a parte della recensione al combat system perché rappresenta, allo stesso tempo, sia uno degli elementi più forti del titolo ma anche qualcosa che riuscirà a mettervi in croce in più di un’occasione. Rispetto alle versioni prova, le meccaniche di combattimento di Kingdom Come: Deliverance sono rimaste invariate. Un tasto per dare poderose stoccate, un altro per letali fendenti, con la possibilità di combinare i due tipi di attacco per aumentare i danni inflitti.

Henry potrà anche parare i colpi del nemico, non temete, non verrà mandato allo sbaraglio altrimenti non staremmo neanche parlando del combat system. Ogni scontro è reso poi più interessante da una serie di fattori di cui tener conto prima di sfidare un avversario a viso aperto: la propria forza fisica, il peso dell’arma che Henry impugna, la dotazione di uno scudo, il proprio stato, eventuali ferite aperte e le abilità sbloccate nel corso della nostra avventura. Inoltre, mangiare fortifica il protagonista, ma ingozzarsi rischia di trasformarlo in un bersaglio facile. Lo stesso si può dire per il bere: un bicchierino scioglie la lingua di Henry, rendendolo più sicuro di sé nei dialoghi con gli altri personaggi, però esagerare con l’alcool rende la visuale del protagonista sfocata, compromettendo le sue doti combattive. Tutti elementi dunque che vanno a comporre un meraviglioso puzzle intriso di realismo in ogni sua componente.

Il momento del crafting nel videogame Kingdom Come: Deliverance
Henry fabbro come suo padre prima di lui.

Ma, c’è sempre un ma, tale realismo pulsante e vivo in ogni pixel di Kingdom Come: Deliverance farà storcere parecchio il naso ai videogiocatori abituati all’azione più immediata. Da questo punto di vista però il gioco è criticabile fino a un certo punto: il fatto che i combattimenti siano un po’ “legnosi” è una scelta stilistica, in perfetta armonia con il resto dell’opera di Warhorse. È vero anche però che combattere con più avversari è un’esperienza da cui ne uscirete probabilmente infilzati e imprecanti. Il realismo nei combattimenti poi premia soprattutto per la spettacolarità che riesce a conferire in caso di battaglie su larga scala. L’avanzata lenta, ragionata, invece che basata sulla mera forza bruta o la destrezza con le armi, vi donerà un senso di soddisfazione unico, oltre a farvi percepire vivida, sulla pelle, l’adrenalina dello scontro.

Da migliorare comunque gli impatti, che meriterebbero una maggiore fisicità. Un bisogno che va di pari passo con la necessità di una maggiore pulizia a livello grafico. Magari con successive patch si potrà mettere una pezza a questi “difettucci”. Lodevoli le caratteristiche della mappa di gioco e, come se non ci fosse già abbastanza realismo, il dover gestire particolari necessità di Henry quali la fame e la sete (qualcuno ha detto Metal Gear Solid 3?). Poi ancora le capacità di crafting del protagonista, che migliorano con le conoscenze apprese esplorando il mondo circostante, e infine il sistema di cura che prevede il recupero riposandosi o utilizzando medicamenti, fasciature e altro.

Veramente tanta carne al fuoco, un titolo vastissimo, impreziosito anche da una colonna sonora che immerge ulteriormente il giocatore nel quattordicesimo secolo. Senza dubbio uno dei migliori simulatori di vita medioevale mai creati. Bisogna però anche parlare dei villaggi, sempre popolosi ma con degli abitanti caratterizzati da poligoni rimaneggiati e cicli di vita brevi. Insomma, tanta carne al fuoco ma andando ad analizzare al microscopio ogni aspetto di un titolo così ambizioso, un po’ ci si fa male. Potrebbero dar fastidio anche i frequenti caricamenti, ma nulla di grave. Perché Kingdom Come: Deliverance è un’esperienza che merita assolutamente di essere vissuta.

Sull'autore

Redazione