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La vita degli artisti è anche sopraffazione di tutto quanto è immemore e più ingrata: l’estro creativo e la fucina di idee, che li rappresentano delle icone perpetue, finiscono sotto un certo profilo per essere una condanna impietosa, piuttosto che un dono. Creare delle opere è molto dispendioso e gli artisti stentamente riescono a inverarle senza il supporto di un mecenate e, non appena egli comincia a dipendere dal committente, la libertà creativa viene oppressa dalla realtà profittevole.
Tra questi artisti spicca con rincrescimento il nome di Hideo Kojima, un genio scandito da uno stile iperbolico che, da quasi trent’anni or sono, ha partorito quella saga maestosa, contornata da orde di sequenze cinematografiche autentiche, che ascende alla sua sommità con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. È un triste epilogo di una storia finita con una rottura indesiderata, quella con il publisher Konami. In altri termini, il maestro di Setagaya è stato esautorato da tutti i programmi acciocché si trovasse finalmente libero da vincoli che gli permettano di aprire un ventaglio molto ampio di prospettive future.
Ma quel che conta adesso è che l’ultima fatica surreale di Kojima è arrivata sul suolo nostrano con un enorme dose di sentimenti e finalmente si chiude finalmente il cerchio narrativo delle avventure di Big Boss.
Un incidente che aliena vendetta
“Non è una nazione che abitiamo, ma un linguaggio. Non sbagliare: la nostra lingua madre è la nostra vera patria”
La serie di Metal Gear ha sempre fornito trame complesse, con colpi di scena inaspettati e rivelazioni che alterano la percezione degli appassionati. Metal Gear Solid V: The Phantom Pain continua su questa scia, ma si perde anche nella sua grandiosità.
Il prologo è la forza portante del titolo. Con un braccio sinistro mutilato, una cicatrice indelebile, un pezzo di metallo conficcato nel cranio, i muscoli intorpiditi, Big Boss si risveglia in un letto d’ospedale dopo nove anni di coma, in seguito ad un funesto incidente. Il protagonista ha addosso dei frammenti di ossa e detriti umani, alcuni sono stati rimossi, ma hanno inesorabilmente provocato ingenti danni fisici. Una grande sventura che lo manda in uno stato di shock. Una serie di traversie spirano alla rinascita della Mother Base e dei Militaires Sans Frontiers (Diamond Dogs) per esigere vendetta a Chiper e Skull Face. Non è ponderato scendere nei dettagli specifici, l’incipit di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è forse tra le più portentose ed esaltanti nella storia del videogioco, grazie a dei fantasmagorici colpi di scena per via della mente acutissima di Kojima. La storia, poi, non procede a ritmo spedito, e lascia il campo alle novità di rilievo del quinto capitolo: la componente Open-World e le strutture derivanti da Peace Walker e Ground Zeroes. Fino ad una dozzina di capitoli, il racconto procede lentamente e gli spazi fondamentali vengono occupati dalle missioni opzionali, alcune deludenti al punto di trascinarvi nel tunnel della monotonia, ma efficaci per lo sviluppo della Mother Base e per lo sblocco di ulteriori missioni.
Alla base di tutto, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain garantisce il completamento di una cinquantina di missioni principali, suddivise in due capitoli, con un finale che funge da riscatto all’intera opera.
La madre di tutte le basi
In Metal Gear Solid V: The Phantom Pain l’interazione tra Snake e la Mother Base avviene tramite l’iDroid, una sorta di computer mediante il quale avrete accesso a cardinali funzioni: la vasta scelta delle missioni, la consultazione sulla mappa, la richiesta di equipaggiamento e il consolidamento della base. Si segnala, ad ogni modo, un menù molto sterilizzato e talvolta confusionario.
La madre di tutte le basi è il centro nevralgico di tutte le operazioni ed è possibile potenziarlo sotto ogni aspetto con i GMP, la valuta all’interno del titolo. Essa “vive” di risorse e si possono raccoglierle in determinati modi: fare depradazione durante le missioni incappandosi in qualche mercanzia, sfruttare un drappello di combattenti, oppure l’idea abnorme, bizzarra e dilettevole del Fulton, il pallone aerostatico che lancia alla base container, nemici e materiali, con cui Kojima si è servito per una produzione meramente ludica, desestendosi da un realismo intransingente. Quest’ultimo sistema può essere dunque provvisto di problemi qualora vi troverete negli spazi ristretti, per questo motivo verrà additata una percentuale dell’efficacia del pallone aerostatico.
Lo staff è il pilastro della Mother Base, in quanto si distingue nel campo delle competenze. Traduttori, medici, scienziati, truppe di comando sono solo parti costitutive e insostituibili del quartier generale di Big Boss e del Diamond Dogs, la sua unità.
Un’opera appagante
Il quinto capitolo della saga rappresenta sicuramente un’alta espressione del concetto stealth-action. Nel contempo, l’approccio Open-World esplode in termini di scopo e grandezza, elargendo un gameplay inedito ed appagante, capace di tenervi incollati per ore davanti al monolite.
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain concede ampia libertà di circolazione, in quanto ogni punto della mappa è esplorabile e vi troverete a decidere se proseguire da subito verso l’obiettivo, essere dediti alla raccolta di materiali come dicevo poc’anzi, o semplicemente girovagare. Non saremo soli, è possibile che a farvi compagnia ci sia: D-Walker, un carro armato su due zampe metalliche che si rivela essere un mastodontico mezzo di trasporto, D-Dog, un fedele cane comodo per la rivelazione dei nemici, D-Worse, un cavallo indispensabile per lo spostamento, e Quiet, spalla e alleata di Big Boss solo dopo averla sbloccata.
I diversi momenti della giornata saranno di vitale importanza, considerando il ciclo giorno/notte, il meteo dinamico che condiziona incessantemente le capacità visive del protagonista. Infiltrarsi di giorno con un’ampia visibilità diventa aleatorio, mentre di notte sfrutterete il buio a vostro vantaggio.
C’è da evidenziare un’intelligenza artificiale nettamente maturata e progredita. Tutto ciò è deducibile dal fatto che quando sarete nondimeno sorvegliati a misura e gradualmente in uno stato di allerta, converrebbe lapalissianamente battere in ritirata nelle zone limitrofe o nascondersi rapidamente.
Il binocolo è l’oggetto che vi porterete sempre dietro e rappresenta il vero e proprio perno attorno al quale ruota la vostra strategia difensiva. Il suddetto consente di avere una panoramica atta a delineare la posizione dei nemici segmentati di rosso.
In sostanza, è lecito dire che il sistema di combattimento di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è indubbiamente divertentissimo. Uno scontro corpo a corpo con gli avversari, condito da un accozzo di pugni e calci per fargli perdere i sensi o scaraventarli verso altri nemici.
Oltre a quanto già detto, il gioco si avvantaggia di due opzioni, ove è possibile scegliere un sistema di controllo di tipo azione o sparatutto in prima persona, che divergono per la disposizione dei tasti. Completo e, a dir poco, strabiliante l’impianto di gioco eretto dagli sviluppatori.
La trama di Metal Gear è tutta fuorché lineare. Ecco una timeline dei titoli riservati alla serie in ordine cronistorico:
Metal Gear Solid 3: Snake Eater (1964)
Metal Gear Solid: Portable Ops (1970)
Metal Gear Solid: Peace Walker (1974)
Metal Gear Solid V: Ground Zeroes (1974/1975)
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (1984)
Metal Gear (1995)
Metal Gear 2: Solid Snake (1999)
Metal Gear Solid (2005)
Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty (2007/2009)
Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots (2014)
Metal Gear Rising: Revengeance (2018)
V has come to
Sul fronte tecnico, il nuovo motore grafico proprietario di Konami, esattamente il Fox Engine, è innegabilmente tra i migliori concepiti su console di questa generazione. Riesce a sfiorare perfino quel tocco fotorealistico dei personaggi, sia nelle cut-scene che nei filmati non renderizzati. Le espressività facciali e i modelli poligonali sono ipnotizzanti e veramente curati all’inverosimile. L’unico neo, in tal contesto, è la riduzione lieve di alcune texture, a causa delle dimensioni ciclopiche della mappa di gioco che ha indotto Kojima Productions a diluire questa particolarità. La gestione d’illuminazione e degli effetti climatici sono realizzati molto bene, frutto di una dedizione senza pari.
I 60 fotogrammi al secondo prestano garanzia a Metal Gear Solid V: The Phantom Pain con dei cali ai minimi termini e, per di più, gli sviluppatori hanno dimostrato un impegno concreto nella limitatezza dell’aliasing, ammorbidendo e migliorando i filmati all’interno del titolo.
Il comparto acustico è prettamente orecchiabile: musica e situazioni in-game sono in perfetta sinergia.
Il lato oscuro di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è contraddistinto da una profonda iterazione di alcune missioni, infatti gli effetti déjà-vu sono indistintamente dietro l’angolo, per giunta strettamente legate all’accrescimento della Mother Base. Le meccaniche di gioco, però, sono sublimi e nobilissime.
La longevità si aggira sulle cinquanta ore, tra missioni principali e secondarie obbligatorie. Spenderne di più è possibile, completando quelle facoltative.
A Hideo Kojima game
Dopo tanto tempo di gestazione, Hideo Kojima ha autenticato la sua firma sull’ultimo masterpiece. In ogni caso, il giocatore di vecchia data ha potuto seguito le tappe vicendevoli di Kojima-Konami – dall’irresistibile ascesa agli anni del successo videoludico, all’improvviso divorzio, ahimè, insanabile – che attingono commossi accenti nel conclusivo rapporto tra i due.
Una fiumana di gente ha provato e prova un senso di ammirazione per un uomo sintomatico, che dal 1987 ad oggi, ha messo alla luce una saga invidiabile, tanto da mandare in estasi perfino i registi hollywoodiani. Ogni singolo momento in Metal Gear griderà al mondo “A Hideo Kojima game” e questo non può far altro che constatare la sua indelebile impronta, che ora vede la dicitura e il logo dissiparsi da ogni singolo prodotto da lui stesso ideato.
Konami può abolire i suoi marchi, ma i ricordi non si dissolvono. Per il padre della saga è arrivato il momento di voltare pagina.
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un’opera decisamente encomiabile. Chiude il cerchio narrativo di Big Boss come solo Kojima sa fare. Il gioco riesce a meritarsi (quasi) l’appellativo di “capolavoro”, confondendosi un tantino nella sua immensità. Non è consigliabile per i nuovi arrivati, in quanto non hanno avuto occasione di mettere mano sui colossi precedenti.
Detto questo, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è un titolo anni luce dall’essere mediocre.