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Nella mia tutto sommato modesta “carriera” da videogiocatore ho avuto la possibilità, accompagnata da una forte passione per il medium e pedissequamente anche da uno spirito critico maturato nel corso del tempo, di contemplare, disquisire ed analizzare tante pietre miliari che hanno ridefinito il concetto stesso di videogioco. Contemporaneamente a questo mio irrefrenabile desiderio di scoprire ed appassionarmi a nuove storie e narrazioni il tempo ha fatto il suo corso ed il medium videoludico, in termini Khuniani, ha raggiunto “paradigmaticamente” nuovi livelli d’interiorizzazione dapprima delineabili come una semplice nonché chimera idealtipica che ha permesso di riportare sul “piccolo schermo” delle esperienze in grado di rimanere impresse nell’animo di tanti appassionati. Sin dai tempi della scuola elementare fino alle superiori, ove si cercava con tutta la spensieratezza dell’epoca di indottrinare anche forzatamente i meno avvezzi a questo “nuovo” media, si accendevano senza alcuna remora intensi dibattiti sullo stabilire in maniera oggettiva ed univoca il “miglior videogioco di sempre” …dopo aver nominato i vari Metal Gear Solid, Final Fantasy X, ed in tempi più recenti Bioshock Infinite, The Last of Us e tantissimi altri, spuntava sempre fuori un Resident Evil…una saga che seppur alquanto controversa nel suo prosecutio è da sempre stata un’esperienza indispensabile per plasmare la nostra essenza da “veri” videogiocatori, poiché giocare ed al contempo vivere le terrificanti esperienze a Raccoon City significa anche imparare a convivere con un persistente stato di ansia ed angoscia che caratterizza ancora tutt’oggi la nostra quotidianità rimembrando gli enigmi, le difficoltà e gli ostacoli durante il nostro tragitto che sono ritornati in tutta la loro prepotenza con un’esperienza ricreata ad hoc di quel tanto acclamato secondo capitolo che rappresenta al giorno d’oggi il perfetto connubio tra passato e presente, rivolto verso un futuro tutto da vivere per un franchise targato Capcom che si era ritrovato anni addietro ad un passo dal baratro.
La Paura fa 90
Quando si parla di horror non si può non parlare di Resident Evil, è un binomio che ha fatto la storia non solo dei videogiochi ma ha concettualmente ridefinito un genere che sia nella fruizione filmica che videoludica è stato inopinabilmente una grandissima fonte d’isipirazione. Dai pochi MB di un secondo capitolo articolato in due differenti CD-ROM siamo ordunque giunti ad analizzare questa rivisitazione che incalza perfettamente le atmosfere di puro terrore provate all’epoca seppur, per questioni prevalentemente di game design, mutando e stravolgendo con dovuta cognizione di causa alcune sezioni e pattern dei tanti odiati zombie ma ovviamente corroborando, con una disponibilità tecnica ben consolidata, di implementare al contempo un sistema d’inquadratura con telecamera alle spalle (che strizza l’occhio al quarto capitolo) e controlli aggiornati agli standard moderni, lontanissimi dai pachidermici comandi che hanno contraddistinto gli albori della saga, anche se, è bene sottolinearlo in maniera esplicita, il cambiamento in termini di visuale non ha in tutto e per tutto stravolto il gameplay del 1998 poiché con il pad alla mano risulta esser decisamente meno “sparatutto” del già citato Resident Evil 4 detenendo intrinsecamente ritmi compassati, ambientazioni soffocanti ed una struttura da metroidvania che mi avevano fatto perdutamente innamorare (ed al contempo terrorizzare) in epoca PSX.
Altra grande rivoluzione di grande impatto risulta esser un reparto registico davvero encomiabile con delle cutscene dal forte pathos ed in grado di farti costantemente percepire
il pericolo in ogni dove ed altresì condite da una buona dose di splatter che di certo non avrà fatto storcere il naso ai puristi ed agli amanti del genere, ma soprattutto una crudeltà di contenuto che assume aspetti ancora più tetri grazie ad una veste grafica sorretta dal RE Engine in uno stato di forma particolarmente convincente che riesce a dare il meglio di se con la sua illuminazione cupa, con il suo ottimo livello di dettaglio, con il suo tono così profondamente horror senza concessioni moderne alla spettacolarità dell’azione ad ogni costo, ma anzi crogiolandosi con sottile piacere negli spazi angusti, negli angoli bui e nelle innumerevoli macchie di sangue che creano riflessi inquietanti sotto la luce della mitica e preziosissima torcia.
Preservando l’indole della controparte originale il gioco ci permetterà di poter scegliere nelle primissime fasi con chi tra i mitici Leon S. Kennedy e Claire Redfield intraprendere questa terrificante avventura che cronologicamente si colloca immediatamente dopo gli avvenimenti del primo capitolo, con la povera Jill Valentine in fuga dopo la “visita” a villa Spencer e con una Raccoon City infestata da abitanti mutati a causa della diffusione su larga scala del T-Virus. Le vicende dei due protagonisti si intrecceranno ben presto a seguito di un primo giorno di lavoro del nostro Leon decisamente “impegnativo” come poliziotto, ed una disperata ricerca di un certo Chris Redfield da parte della sorellina Claire, una studentessa universitaria assai impavida e coraggiosa che, facendo squadra proprio con Leon, a seguito di mille peripezie giungerà nella tanto iconica stazione di polizia anch’essa popolata da una miriade di zombie pronti ad accoglierli a braccia aperte.
Ritorno al passato
Nonostante le migliorie ed i piccoli accorgimenti a livello di gameplay ed alcuni “escamotage” dal punto di vista narrativo che ci permetteranno di procrastinare la nostra avventura fino a raggiungere, in linea generale, un totale di otto ore poiché stiamo pur sempre parlando di un Resident Evil vecchio stampo ed insomma di un vero e proprio “survival horror” con tanto di livello di difficoltà inizialmente selezionabile, un quantitativo di munizioni scarsissime, un inventario ultra limitato, le mitiche erbe curative verdi e rosse ed i classici salvataggi alla macchina da scrivere che si dovranno gestire soprattutto alle difficoltà più alte con tanta parsimonia mentre alla difficoltà standard ci sarà la possibilità di ripartire non solo dai checkpoint (tra l’altro mai invasivi e ben razionalizzati) ma anche da un sistema di salvataggio che non necessita degli iconici nastri. Senza contare poi degli zombie che tornano più che mai a essere sinonimo di un pericolo lento ma tremendamente implacabile con anche un singolo non-morto destinato a diventare un brutto problema da gestire (specie se incontrato in un corridoio non esattamente spazioso) poiché esiste costantemente il rischio di esser morsi da questi ultimi con l’inquadratura che cambia e si stringe sui malcapitati Leon o Claire di turno con una prospettiva ravvicinata e disorientante, scelta registica esemplare non solo nel mostrare gli eccellenti modelli poligonali degli zombie ma improvvisa ed estremamente perturbante al punto di far perdere il senso dell’orientamento e veicolando ancora di più il fruitore in una spirale di ansia, angoscia e di minaccia anche perché, proprio come una volta, bastano pochissimi morsi per incorrere nel temuto game over…sicuramente più tollerante rispetto al passato ma inequivocabilmente assai frustrante.
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