The Division 2 – Recensione

Dopo ben tre anni d’attesa Ubisoft ritorna con uno dei franchise più controversi della software house transalpina, che nella sua prima iterazione ha riscosso altresì un buon successo, puntando specialmente su un tipo di esperienza cooperativa e competitiva online allora del tutto innovativa, ma dimostrandosi in fin dei conti decisamente incompleto e con una ripetitività ludo narrativa soprattutto nelle fasi avanzate che non ha conquistato del tutto il cuore sia dei neofiti che degli appassionati nonostante un’ambientazione ed in generale una cosmogonia plasmata ad hoc da parte degli addetti ai lavori e di certo in grado di lasciare inopinabilmente il segno. Nonostante il continuo supporto della community c’era il bisogno di ampliare sia metaforicamente che letteralmente gli orizzonti e quindi Massive Entertainment e Red Storm Entertainment hanno deciso ordunque di voltare pagina presentando il tanto agognato nuovo capitolo che, senza grandi stravolgimenti alla formula iniziale, punta tutto il suo potenziale su una struttura familiare ampliata tuttavia in diverse direzioni, sia a livello contenutistico, sia a livello narrativo ma senza mai strafare…ed è proprio, con tutta probabilità, questo timore riverenziale di rinnovarsi che ha in parte “mutilato” l’enorme, nonché auspicabile ed agognato miglioramento, che poteva e doveva manifestarsi in questo nuovo episodio della serie che, dopo un cospicuo quantitativo di ore trascorse in-game, possiamo senza alcuna remora sentenziare che di certo meritava un trattamento assai diverso.

Un problema di fruizione

A seguito anche di alcune interviste agli addetti ai lavori susseguitesi nei mesi precedenti alla release del gioco, veniva ribadito, oltre che all’abbandono definitivo del primo capitolo che per inerzia è stato supportato con semplici ed asettici aggiornamenti, “la serie The Division nella sua globalità è una specie di MMO anomalo, poiché la stessa Ubisoft sta trattando la serie come se fosse composta da titoli essenzialmente stand alone benché sia pensato per esser fruito in modalità multigiocatore“. Con queste premesse, seppur decisamente opinabili e contraddittorie, siamo arrivati a questo secondo capitolo che ha rispettato solo in parte queste premesse poiché proprio rispetto alla campagna della prima iterazione, di certo curata per gli standard del genere, anche se bisogna ricordare che si concludeva in modo abbastanza banale, siamo invece dinnanzi ad una trama di questo The Division 2 che ci terrà occupati per più di una decina di ore (escludendo ovviamente le missioni opzionali e secondarie che fanno schizzare la longevità al di sopra le trenta ore di gioco) ove vi è stato implementato un sistema a specializzazioni che subentra una volta portata a termine ogni missione, nel quale, a quel punto il giocatore che ha raggiunto il livello massimo potrà scegliere una specializzazione a lui consona che prolunga la campagna con nuove missioni che cambiano a seconda del percorso scelto, garantendo nelle premesse, ma fallendo poi nella sua totalità, un’illusoria libertà di sperimentazione grazie alla possibilità di cambiare precipuamente il suddetto parametro.

Soffermandosi in maniera del tutto semplicistica sul susseguirsi degli avvenimenti bisogna sottolineare che questo secondo capitolo si svolge circa sei mesi dopo le vicende narrate nel prequel nella città di Washington DC riprodotta in maniera davvero eccezionale con i monumenti, come ad esempio il Lincoln Memorial, che sono stati riprodotti con una fedeltà impressionante.
D’altronde l’altro lato della medaglia lo ritroviamo proprio in una narrazione che, non trovando contestualmente la tanto bramata “realisticità” perseguita invece a Manhattan, si presenta con delle dinamiche ancor più semplici e stereotipate del primo capitolo perdendosi nel suo prosecutio in artefatti narrativi decisamente stucchevoli fino ad un particolare evento che rimescola le carte in tavola, donando all’offerta inizialmente abbastanza esigua, un’iniezione di contenuti considerevole e un inedito percorso di sviluppo e crescita del personaggio che ha rispettato in parte le premesse, seppur fievoli, che ne avevano accompagnato la release.

Squadra che vince non si cambia ma…

Tuttavia questa mancanza di autorialità narrativa viene in parte colmata egregiamente con un gameplay che sostanzialmente rappresenta la perfetta evoluzione di quanto di buono abbiamo potuto apprezzare nelle nostre scorribande nella devastata Manhattan del primo capitolo, è possibile notare come la deriva strategica abbia donato nuova linfa vitale alla formula poiché oltre ai cattivi più vivi e temibili, e oltre ad un esercito di nuovi boss, troviamo dei movimenti più lenti e pesanti insieme ad una gestione rinnovata dei punti armatura che si consumano a vista d’occhio e vanno ricaricati manualmente. A rigor di logica non bisogna pensare nemmeno per un istante di affrontare i nemici in pieno stile ” Rambo” a viso aperto altrimenti verremo ridotti semplicemente come un colabrodo, ma bisogna categoricamente muoversi con criterio, senza fretta, senza agitarsi, in un ritmo comunque frenetico ma assolutamente ragionato e compassato in grado al contempo di generare un ottimo mix decisamente versatile, imprevedibile e che di certo porta assuefazione. Ma arrivando di consueto ai problemi,partiamo subito col ribadire che non abbiamo trovato ottimizzato a dovere l’HUD di gioco che seppur stiloso ed artisticamente evocativo presenta in alcuni frangenti tantissime informazioni a schermo che vanno ad intasare senza alcuna ragione lo schermo, ed al contempo anche la semplice gestione delle abilità, seppur migliorata, presenta ancora quel velo di macchinosità nel piazzamento e nell’uso, e peraltro nutriamo più di un dubbio sul loro effettivo bilanciamento vista la quasi totale “inutilità” di alcune di queste ultime.
Le modalità di gioco presenti sono molteplici e variano da quelle più “classiche” come missioni più complesse con il grado di difficoltà selezionabile, dalle taglie, alle Roccaforti, alla semplice esplorazione del mondo, le attività si espandono ma rimangono comunque intrecciate da una meccanica di grinding che seppur poteva esser ridefinita in alcuni dei suoi aspetti non è mai troppo pesante e punitiva.

Ovviamente ultima ma non meno importante è la Zona Nera, il marchio di fabbrica della serie ove è possibile allearsi insieme agli altri agenti o tradirli col fine ultimo di reperire equipaggiamento raro ma contaminato, per poi portarlo al punto di estrazione e fare in modo che sia utilizzabile successivamente.
Al momento non sfoggia enormi stimoli al di là della gloria personale, poiché il bottino nella maggior parte dei casi non sembra contenere pezzi unici di grande valore, eppure adesso si contano ben tre Zone Nere diverse per fare stragi (ed ovviamente per concludere numerose amicizie) con eventi distribuiti e costruiti su misura ma di certo ci aspettiamo anche in futuro un costante supporto ad una modalità che di certo detiene un potenziale immenso.

Ultima ma non meno importante nota dolente risulta esser il comparto grafico che, nonostante riesca in alcuni frangenti a regalare degli ottimi scorci, su PS4 il gioco, oltre ad esser afflitto da un’innumerevole quantitativo di bug, presenta texture e modelli poligonali che si caricano con estremo ritardo andando ad imbruttire troppo spesso una riproduzione maniacale della splendida Washington post-apocalittica.

The Division 2
Overall
8.1/10
8.1/10
  • - 8.1/10
    8.1/10

Commento Finale

The Division 2 è senza alcun dubbio uno dei migliori looter shooter sulla piazza che acquisisce una propria ragion d’esser con il trascorrere delle ore di gioco, pecca ovviamente per un aspetto narrativo che di certo poteva esser decisamente più approfondito, e soprattutto per un comparto grafico e tecnico non all’altezza degli standard odierni, ma si lascia apprezzare per un gameplay (e soprattutto un “gunplay”) che rappresenta la perfetta evoluzione di quanto di buono abbiamo visto nel primo capitolo.

Sull'autore

Francesco Palmiero

Enciclopedizzare, narrare, contemplare e condividere insieme l'arte videoludica.