Child of Eden – Kinect Ed. – Recensione

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Chi ha esteriorizzato un certo senso di dissenso in merito alle scelte di Microsoft relative all’implementazione obbligatoria del Kinect 2.0 nel pacchetto One, non ha di certo tutti i torti. I non pochi acquirenti del primo Kinect, nonostante una lauta propaganda volta a far credere che l’avveniristico controller non sarebbe stato solo un gingillo per casual gamer, c’è da dire che non hanno avuto esattamente quanto promesso.

Pochi rarissimi titoli hardcore, oltre la smisurata libreria casual, sono riusciti a sfruttare le caratteristiche del dispositivo tanto amato in fase di presentazione E3 con il nome di Project Natal. E se a questo già piccolo gruppo iniziamo a sottrarre i titoli che pur implementandole, riuscivano a raggiungere standard di gameplay appena sopra l’accettabile solo in nome dell’interessante idea di fondo, allora ci troviamo a fare i conti con una numerazione che può far storcere il naso a chi, in questa nuova generazione, farebbe volentieri a meno di pagare i tanto decantati 100 euro di rincaro rispetto alla concorrenza.

Questa piccola premessa, nonostante possa sembrare un affondo preciso a Microsoft, è fatta in realtà solo per porre l’accento su uno di quei titoli che invece, anche da solo, giustificava pienamente l’acquisto dell’acerbo dispositivo, e faceva addirittura scappare un timido grazie alla casa di Redmond, per via della splendida esperienza in cui si veniva immersi grazie alla combo motion.

Il titolo in questione, e che qui andremo a recensire, è Child of Eden.
Un gioco che in pochi ricorderanno, uscito nel mezzo del 2011 grazie a Q-Entertainment, spirituale erede di quel piccolo gioiello che fu Rez per il defunto Dreamcast. Stiamo comunque parlando di un titolo che, per quanto di nicchia a causa del suo gameplay su binari, porta la firma di uno dei maestri del genere, l’incrollabile Tetsuya Mizuguchi.
Per chi non si fosse ancora liberato del Kinect, o per chi vorrà improbabilmente dotarsene ora, ecco il  consiglio : oscurate le vostre stanze, barricate qualunque entrata, reperite questo gioco e inseritelo nel tray. Sarete trasportati e coinvolti in uno dei mondi fantascientifici più variopinti del genere, dove i colori saranno la base d’esistenza e la musica il collante naturale tra i due elementi focali in gioco.Il vostro corpo, e le magie visive che vi innonderanno.

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Trama

Sulla trama ci sono molte poche parole da spendere. Tramite un video iniziale, ottimamente curato, verremo introdotti in questo universo futuristico dove la Rete ha integralmente inglobato l’intero sistema. Tutte le coscienze e le esperienze si sono fuse in questo network spaziale e intangibile dal quale, dopo tempo,  è anche nato il primo frutto: la mela caduta dall’albero, il primo essere concreto nato al suo interno è Lumi. Rappresentato ai nostri occhi da una viso angelico, quello di una ragazza dagli occhi immensi, che dovremo salvare da un virus informatico che mira a distruggere sia lei, che l’intero Eden.


Gameplay/ Full Experience

Premettiamo che non faremo distinzioni tra gameplay- grafica e sonoro, semplicemente perchè in questo titolo è impossibile scindere questi 3 elementi, solitamente così distinti, tanto ibridi questa volta.
Già da questa impostazione potrete immediatamente capire quanto l’opera in questione si presenti davvero particolare e degna d’attenzione, nel caso in cui ovviamente siate disposti a concedere qualche strappo ai solidi dettami che il vostro concetto di videogioco, e di divertimento con esso, vi impongono. Avere una prospettiva di totale apertura all’esperienza, libera da qualunque schema mentale standardizzato è la condizione unica e sufficiente per riuscire a godere di quest’opera che, proseguendo sul filone di Journey e Flown, mira a portare l’immersività e l’arte visiva su un piano totalmente separato da quello che ordinariamente il mercato ci propone.

Detto questo, il tema tanto caro all’ambiente videoludico, quanto a quello fantasy, ’salva la principessa’, torna poderoso in queste nuove vesti  più musical oriented.

Il gameplay di Child of Eden è quello classico di uno shooter su binari. Procederete guidati, di mondo in mondo, muovendo la mano destra per mirare e lockare più nemici possibili, per poi rilasciare il raggio che li distruggerà. Ovviamente più ne saranno colpiti al contempo più il punteggio ricevuto sarà alto, mentre il braccio sinistro e dedicato al ’fuoco leggero’, una scarica più debole ma libera da vincoli di lock. Una bomba ad accumulo, lanciabile saltuariamente, completa il pacchetto ’armi’, che vede la mano destra impegnata a purificare un determinato tipo di avversari mentre l’altra sarà più oggetto di attacco per un altro tipo di creature.

Questa è la base del gameplay, ma ora, mezzi chiari alla mano ( e per mano) il gioco inizia a mostrare la parte più interessante di sé. Non cercatela in estrosi e combattimenti sempre vari, fallireste nel tentativo. Se deciderete invece di cercarla in quella fusione di elementi che porta a fondere il vostro corpo, con i movimenti imposti dalla musica e dai colori, allora avrete scovato uno dei titoli più suggestivi della passata generazione.

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Il concetto di  Child of Eden non è ’mira’, ma ’fai fluire’.

Il vostro braccio sarà il pennello del pittore, la bacchetta del mago, il ritmo cadenziato e perentorio del direttore d’orchestra.
Tramite i vostri movimenti, e i vostri raggi sparati (che acquisiranno un suono d’incastro alla melodia), andrete a colorare l’ambiente di gioco dei colori mancanti. Il vostro operato, seppur mascherato da un intento depurativo, sarà invece più votato al rendere ’viva’ questa struttura di indefinibile valore artistico, in cui i colori sono a volte saturi a volte evanescenti, ma in ogni caso mancanti della giusta vita, la giusta musica . E quello, sarete proprio voi. Sarete l’innesco, l’attore principale in una scenografia delle più incredibili mai viste, che continuerà a venirvi incontro per rendervi partecipi della sua danza. Sarete il grilletto per la pallottola più bella che sia mai stata sparata.

L’esperienza si farà totalizzante una volta preso il giusto ritmo. Il lockaggio sarà solo la conseguenza di un movimento sempre più esteso che il vostro corpo vi porterà naturalmente a fare. Ed ecco perchè è l’esperienza Kinect a rendere il prodotto di quella completezza che, in sua assenza, sarebbe ben lontana dal compiersi, avendo come risultato un prodotto che risulterebbe ’solamente’ ottimamente confezionato.Immaginatevi che ad un certo punto, a stanza oscurata, i colori prendano il sopravvento sulla coda del vostro occhio, impedendovi di guardare il contesto della stanza in cui siete immersi. Aggiungetegli la totale mancanza di un dispositivo tattile che vi riporti nella vostra concezione di realtà, e il gioco dell’immersività è praticamente vinto.

Il tutto avverrà senza cercare forzature di alcun tipo. La musica penserà ad avvolgervi completamente con tracce splendide, in cui vocalizzazioni e ritmi più ’dance’ si alterneranno a pezzi di musica elettronica più spunti, e, come in un equalizzatore, si incastreranno alla perfezione tra le immagini e gli elementi proposti, così da far risultare voi come l’unico vero ingranaggio mancante.

La totalità dell’immersione è facilitata anche dalla quantità immensa di creature proposte che non mancano mai di catturare l’attenzione. Sembra di ritrovarsi in un brodo universale dal quale tutto il visto fuoriesce, e tutto il non-visto prende per la prima volta forma, contestualizzato in un fantascientifico andirivieni di ondate di pixel più o meno grandi, che creano un mondo dal quale qualunque screenshot tratto potrebbe essere stampato ed esposto a quadro.

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In fase di conclusione vi evidenziamo quei sottili problemi che minano l’esperienza, che sono seppur minimi, ma presenti.
Principalmente il titolo, seppure si presenti rigiocabile di per sé per l’originalità che lo contraddistingue, presenta una longevità troppo bassa. Solo 5 i mondi da visitare, troppo pochi e di scarsa durata. Mentre invece la frustrazione che si presenta al livello di gioco più alto può essere a volte eccessiva, ma può anche esser  vista come un elemento migliorativo per i più sadici.

Qui finisce il nostro viaggio in Child of Eden. E come detto in fase di introduzione, non bisogna farsi fuorviare dalla staticità di un gameplay assente, perchè il cuore di questo gioco è esattamente oltre questo concetto così formale.
E’ un  viaggio in uno spazio diverso, che vi invita a liberarvi delle vostre meccaniche di fieri videogiocatori, per lasciavi trasportare altrove, dentro una musica a cui vi si chiede di prendere parte, dentro il mondo di una creatura che vi si chiede di salvare, dentro dei colori che vi si chiede di assorbire. Insomma dentro un universo dal quale, vi assicuriamo, farete fatica ad uscire.

Sull'autore

Alessandro Tonoli

Grande appassionato di Videogiochi fin dalla più tenera età (si narra sia stato partorito in ritardo in quanto non avendo salvato, non poteva uscire) si diverte a scrivere per questo o quell'altro sito pur di dare un suo piccolo contributo alla diffusione del Videogioco come mezzo, non solo ludico, ma anche artistico ed emotivo.
Da buon Boxaro preferisce i boxer agli slip.