Dear Esther – Recensione

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La vita, la morte, l’amicizia, l’amore… cosa sono? Dei semplici concetti che definiscono in modo circostanziale il nostro percorso. Un percorso che spesso è fatto di ripide salite o delle discese a strapiombo. Dear Esther è probabilmente uno dei progetti più originali presenti sul mercato ed è stato anche criticato in diversi modi. Si è passato dal considerarlo un “film interattivo” (termine altamente fuorviante), “esperienza videoludica” (cosa ben più vicina alla realtà), ma confondono sempre questo titolo con un gioco. Ma si tratta davvero di un gioco?

Thechineseroom è un team resosi noto dopo la pubblicazione di una mod sviluppata con Source Engine per il progetto universitario dell’Arts & Humanities Research Council. La mod ha conquistato non solo i fan, ma anche alcune grosse personalità legate al mondo videoludico. Robert Briscoe, ex DICE (gli dobbiamo lo stile grafico di Mirror’s Edge) ha preso il progetto sotto la propria ala e l’ha espanso ulteriormente e l’ha pubblicato con il team su Steam come un gioco a se stante e non più come una semplice mod. Iniziamo quindi questa disquisizione su Dear Esther e su ciò che rappresenta per dei videogiocatori come noi.

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 Storia?

Di solito quando si parla di trama si cerca di andare a fondo su alcuni concetti privi di spoiler e attutire quei dettagli che potrebbero compromettere lo sconvolgimento emotivo del giocatore. Qui vogliamo proseguire a tentoni. In modo ritroso vogliamo dirvi che per parlare della trama basterebbero poche righe di un taccuino.

Dopo aver avviato la partita ci ritroveremo vicino a un faro, su un isola apparentemente deserta. Dopo pochi passi, incerti e cauti, sentiamo la voce del protagonista, probabilmente un pensiero o una lettura, aprire la storia parlando a Esther. Non ci viene dato a sapere di chi si tratta, né del perché scrive quelle determinate catastrofiche parole. L’unica cosa che riusciamo a percepire e lo smarrimento del giocatore in questo spazio, costeggiato dalle fredde e scure acque. Andando avanti il nostro personaggio continua i suoi distorti e frammentati pensieri, coinvolgendo stavolta non solo Esther (che rimane la destinataria dei pensieri-lettere), ma anche altre persone. Sembra quasi un discorso da manicomio, se non fosse per quel linguaggio ricercato e arcaico, tradotto in italiano nella sua forma più fedele. La metempsicosi sembra essere costantemente presente nella mente dell’uomo, che sembra conoscere a memoria quelle terre piene di una fauna cosi malinconica da volerci buttare giù senza alcuna pietà. Senza capire molto il giocatore ci conduce nei meandri dell’isola, mostrandoci quei luoghi che con la sola visione riescono a trasmettere proprio le sensazioni provato del nostro alter ego digitale. Paura, sconforto, tristezza, libertà. Tante emozioni che trascendono la realtà e si uniscono al nostro cuore e ci fanno sussultare in un ultimo tentativo di trovare la libertà. Ci porremo delle domande sui personaggi, sulle dinamiche che hanno convinto il nostro personaggi a venire sull’isola e sulle sue intenzioni, ma solo dopo aver finito più volte e solo dopo aver cucito tutti quei tasselli diventati irregolari per via dell’acqua del mare che riusciremo a comprendere il vero significato che l’opera in questione cerca di trasmetterci.

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Il secondo punto che tratteremo comprenderà nel suo insieme più settori, perché dividerli comporterebbe il distacco del letto dal senso dell’opera che stiamo trattando. Dear Esther è un titolo originale prettamente dal punto di vista videoludico. Non perché aggiunge qualcosa che gli altri non hanno, ma al contrario. Il titolo unisce un gameplay cosi semplice che da questo punto in poi non verrà più chiamato con questo nome. Le uniche cose che potremo fare infatti, saranno solo camminare e zoomare leggermente in un punto. Nulla di più. Quasi al limite del banale. Eppure questo non è una denotazione di una qualche mancanza alla complessività dell’opera. Piuttosto possiamo chiamarlo il punto a favore per una più che totale immersione nel tenebroso mondo del personaggio e del suo status. I passi lenti e talvolta incerti, un lento progredire senza la possibilità di correre o andare più velocemente, sono quelle cose che ci rendono quasi partecipi del mondo digitale.

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A rendere tutto più metafisico e reale ci pensa il comparto sonoro, creato da Jessica Curry. Le musiche all’interno dell’opera appaiono cosi come dovrebbero essere: coinvolgenti e mai invadenti. Riescono a trasmettere ciò che i creatori volevano e lo fa in modo a volte timido e altre volte in modo preponderante. Per ultimo poi troviamo il Source Engine, che in Dear Esther mostra i suoi denti nonostante l’ormai evidentissima vecchiaia. La vegetazione si muove al vento, che accarezza i pochi fiori che troveremo e tutto sembrerà cosi naturale da non farci indagare sulla veridicità o meno delle texture. Anche nel sottosuolo l’ambiente spiazza il giocatore, ma stavolta per un motivo differente. I colori blu e la calda luce delle candele si fondono quasi in un dipinto surreale disegnato da Van Gogh.

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Dopo questa recensione molti sicuramente saranno ancora dubbiosi su cosa sia in realtà questo titolo. A dirla tutta non lo sappiamo nemmeno noi ed è molto probabile che non lo sanno nemmeno gli sviluppatori. Ciò che ci è chiaro è la poeticità onirica, metafisica e metempsicotica di quest’opera. Potrebbe sconcertare qualcuno, ma altresì potrebbe conquistare qualcuno che cerca un’esperienza che va aldilà del semplice uccidere.

Sull'autore

Rostislav Kovalskiy

Un non troppo giovane appassionato di tutto quel che ruota attorno alla cultura POP. Vivo con la passione nel sangue e come direbbe Hideo Kojima "Il 70% del mio corpo è fatto di film".