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In passato ho giocato con piacere ai vecchi capitoli della serie Dragon Age, che però nel corso dei suoi tre capitoli è riuscita a cambiare sempre. Un evoluzione costante del gameplay, del mondo di gioco e sempre una minor presenza delle atmosfere da grim fantasy che hanno caratterizzato il primo capitolo. Quindi per me era ovvio aspettare da questo Dragon Quest The Veilguard qualcosa di totalmente diverso dai precedenti capitoli e devo dire che tutto sommato mi sono anche divertito parecchio a giocarci grazie a un gameplay veloce, votato all’action e a un mondo parecchio fantasy. Eppure è chiaro che manca qualcosa in questo nuovo titolo. Si sente l’aria di un gioco che doveva essere qualcosa di diverso e che poi è stato cambiato di corsa, ma con una struttura che ormai non poteva essere sovverchiata totalmente.
Proprio il gameplay è la parte che riesce a dare questa grande percezione. Una mancanza di qualcosa; o di qualcuno. Dico questo perché l’essenza multiplayer di questo titolo la si sente nell’aria, fin dalle primissime battute. La struttura di un gioco cooperativo è palpabile in ogni sua essenza e quei due NPC che ci accompagnano durante l’avventura ne rappresentano l’essenza. Infatti basterebbe immaginare quei due personaggi controllati da degli amici per avere un’idea diversa di questo gioco. Non per forza più bella, ma semplicemente diversa.
La struttura di base è quella di un action, con delle parti interne di un GDR. Questo vuol dire che menerete sì i fendenti come un fabbro ubriaco dopo la festa del raccolto del grano saraceno, ma allo stesso tempo avrete anche bisogno di sfruttare appieno le vostre abilità, che ovviamente andranno a sbloccarsi con il progredire dei livelli. Le tante abilità daranno l’opportunità di mettere in campo una buona strategia, ma ovviamente a disposizione del giocatore ce ne saranno ben poche. Molte saranno però passive e gestendo bene quest’ulltima abilità, il nostro eroe sarà potente come non mai.
Le classi presenti nel gioco sono sì diverse tra loro, ma non si percepisce una grandissima differenza al livello di gameplay, che viene intaccato veramente in modo leggero da questo cambiamento. In ogni istante, comunque, avremo con noi i due NPC (che in origine erano controllati dai due giocatori) e in un certo senso dovremo controllare anche loro grazie alle abilità sbloccabili. Purtroppo la sensazione avvertita in quei frangenti è quella di un caos generale, difficile da tenere a bada.
Ogni livello potrei definirlo un grosso dungeon, che alla fine ci vede scontrarsi contro il boss di turno. A fine combattimento verrà droppato il classico forziere, come in ogni MMO che si rispetti. Ogni item avrà la tipica colorazione da GDR o da MMO e determinerà la potenza dei nostri attacchi o delle nostre caratteristiche.
Parlando invece del lato narrativo, c’è da dire ovviamente che questo gioco si discosta totalmente dai suoi predecessori. Dialoghi leggeri hanno la meglio in un mondo dovre il grim dovrebbe dominare la scena. Personalmente ho ritrovato le vibes che c’erano all’interno dei libri di Dragonlance, ma anche Forgotten Realms. Questo vuol dire ovviamente che i dialoghi hanno quell’aria da Albero Azzurro, con dei personaggi stralunati che dopo aver perso un amico si riuniscono davanti a un caffè per chiacchierare del colore del pizzo delle camice. Questa sensazione di leggere dei testi troppo leggeri crea una strana sensazione, quella di avere a che fare con un prodotto poco definito. Ovviamente il problema sta proprio nel titolo dell’opera. Dragon Age Inquisition a mio avviso era molto meno incisivo rispetto a Origins, ma questo porta davvero indietro una narrazione e una storia che decolla con tanta, troppa difficoltà.
Anche i personaggi che popolano il mondo di gioco riescono difficilmente a essere incisivo nella mente dei giocatori. Il problema è che la loro caratterizzazione lascia molto a desiderare e a parte alcuni vecchi volti, difficilmente ne ricorderete anche uno solo.
Fin dall’inizio gli sviluppatori hanno puntato molto sulla questione della personalizzazione del proprio alterego. In effetti questa parte è veramente completa e sono certo che qualcuno abbia speso intere ore a questa frangenti. Il viso si modifica in ogni sua parte ed è possibile sbizzarrirsi creando un personaggio realmente simile a quello che vorremmo vedere. Ovviamente si crea anche la razza e il sesso con tanto di pronomi. Una scelta che non farà Felice qualcuno, ma che personalmente ho trovato coerente con l’anno d’uscita. I videogiochi, come ogni altro medium, devono in un certo senso adattarsi anche al proprio pubblico.
Graficamente comunque a mio avviso c’è davvero poco da dire. Dragon Age: The Veilguard colpisce con i suoi colori e le sue atmosfere tipicamente fantasy. Un mondo in cui mi sarebbe piaciuto perdersi in modo più profondo, ma che offre in realtà ben poco al giocatore più attento. I modelli poligonali sono comunque di ottima fattura e ridanno perfettamente lo spirito di un fantasy a tutto tondo. Un titoli di grande fattura che può competere con altre controparti, nonostante non si tratti della cosiddetta “grafica spacca mascella”.
Insomma, si tratta di un titoli che diverte e intrattiene, ma non riesce a farci immedesimare nel mondo forgiato da BioWare. Ne scalfisce io guscio, ma senza andare in profondità.