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Pronti per vivere un’esperienza infernale nello spazio? Ebbene si, sono queste le premesse di Mothergunship, titolo sviluppato da Grip Digital. Uno pseudo-sequel (per la sua natura prettamente action) dello stravagante Tower of Guns che già all’epoca della sua uscita riscosse un notevole successo. Dopo aver approfondito a fondo l’intera esperienza di gioco, Mothergunship si presenta come un vero e proprio “bullet hell” che cerca inequivocabilmente di riscrivere l’ideologia degli ormai sempre più apprezzati first person shooter, permeando questa sua rivoluzione in chiave rogue-like con una proceduralità di ambientazioni, nemici e difficoltà capaci di soddisfare anche i palati meno indulgenti.
Il crafting non è importante…
“Gli alieni hanno invaso la Terra, e noi siamo l’ultima speranza della resistenza“. Con queste premesse il gioco ci butta subito nell’azione facendoci apprezzare istantaneamente un ottimizzazione che su PS4 (la versione provata per questa recensione) rende l’intera partita decisamente fruibile e costantemente movimentata. Il nostro protagonista è un semplice soldato che viene comandato a bacchetta dal colonnello (figura decisamente controversa) e supportato con poca attenzione dal capo Gungineer Wilkinson, stanca ed ormai quasi rassegnata dall’ormai dipartita del genere umano per colpa di queste entità che detengono la loro base principale su un’enorme nave spaziale (denominata Mothergunship).
Seppur quest’impresa del tutto disperata risulta essere un clichè nell’ambito dell’intrattenimento videoludico e non solo, viene però contestualizzata nella sua interezza con un’acuta superficialità atta principalmente. Alcune sezioni di gioco, difatti, sono state rese estremamente complicate che, ai giocatori meno “navigati” del genere, potrebbero far storcere il naso a causa dell’enorme quantità di minacce presenti a schermo. Queste rischiano di portarci verso una frustrazione in grado non solo di compromettere una narrazione che nella sua banale linearità detiene una certa coerenza, ma anche il gameplay stesso che nonostante la sua immediatezza va poi a scontrarsi con un sistema di crafting delle armi. Che, per la sua minuziosità richiede, per un’esperienza quanto più immersiva possibile, un quantitativo di risorse solo ed esclusivamente al completamento di alcuni compiti secondari e sfide non propriamente accessibili dall’utente medio che, armato di una buona dose di pazienza, è costretto a ripetere tante volte alcune fasi decisamente concitate nella speranza di riuscire a superare quel nemico o quella specifica fase di gioco.
…è l’unica cosa che conta
Tra una missione di recupero fallita ed un’infiltrazione tra le fila nemiche assai discutibile anche per un’IA della Mothergunship non particolarmente brillante, il gioco ci fornisce svariati criteri d’approccio per poter giungere al completamento di un determinato compito. Questi variano dal poter avanzare a suon di piombo al voler eludere le fasi di combattimento (eccetto per gli scontri con i boss) che diverranno sempre più presenti, opprimenti e difficili da sfuggire visto l’irreversibile avanzamento della storia. Dovremo attrezzarci a dovere per poterci destreggiare al meglio delle nostre potenzialità in una sorta di piccole ed “infernali” aree sand-box, dove saremo al sicuro solo nei pressi del portellone che ci permetterà di accedere alla prossima zona da affrontare.
Il sistema di shooting, la vera spina dorsale del gioco, è davvero ben strutturato. Ci sono tantissime armi a disposizione grazie a cui misurarci: a questo proposito, non posso non esimermi dal considerare che, nonostante la grande cura e attenzione che gli sviluppatori le hanno riversato, queste non sono state caratterizzate in modo da rendere meno caotici e più tattici gli scontri, pur considerando la loro natura volutamente frenetica. Visto d’altronde anche il mancato settaggio della difficoltà, minimizzata dalla possibilità di giocare in cooperativa con altri giocatori, che rende il tutto ancor più caotico ma paradossalmente divertente.