Principessa Mononoke – Recensione

Principessa Monokoke
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Un gigantesco demone cinghiale, in preda ad un maleficio, attacca il villaggio del giovane Ashitaka. Per salvare la propria gente il giovane è costretto ad ucciderlo, ma nello scontro viene ferito ed infettato dal maleficio. Consultato l’oracolo del villaggio, Ashitaka apprende che il maleficio lo porterà alla morte, perciò lascia per sempre la terra natia e si incammina verso ovest, luogo di provenienza del demone, alla ricerca di una possibile cura…

CA.SU.Mononoke.1219.HO––**EXCLUSIVE**Slide# 15Scene from "Princess Mononoke." NEED I.D.sPhoto/Art by:Handout Art

Di sicuro la Principessa Mononoke è una delle opere più famose dello studio Ghibli, forte di un genere capace di attirare la massa e di un comparto tecnico di alto livello a cui lo Studio ci ha sempre abituato.
La storia ci catapulta subito in uno scenario medievale, dove l’era del ferro era da poco iniziata. Hayao, essendo un patito dei messaggi per la salvaguardia della natura e via dicendo, ha colto la palla al balzo incentrando l’intera opera su uno dei drammi che hanno sempre afflitto gran parte del genere umano: il danno che l’uomo stesso causa alla natura con la tecnologia.
Infatti, vittime dell’incessante sviluppo dell’uomo sono gli animali della foresta, che cacciati e scacciati dai loro territori e ridotti al puro stato selvaggio, hanno iniziato a perdere la loro coscienza, tramutandosi in esseri privi di senno che seguono solo i loro istinti.
Un po’ come nel mondo reale, quindi.
La critica nei confronti dell’essere umano è forte e decisamente ha il suo spazio, tuttavia Hayao non si sbilancia e contrappone la figura da eroina della Principessa Mononoke agli abitanti di Tataraba (la città del ferro), che nonostante continuino a “distruggere” l’ecosistema, vengono presentate come persone dal buon cuore intente a sopravvivere in quei tempi bui.
L’offesa al divino e l’avarizia continuano però ad imperversare, nonostante tutto, mostrando quel lato marcio del mondo che, come nella Città Incantata e Il Castello Errante di Howl, sono diventati un po’ il marchio di fabbrica delle produzioni del regista.

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I personaggi principali della vicenda funzionano e, grazie al loro carisma, riescono ad affascinare lo spettatore, nonostante ad alcuni non venga dato il giusto spazio.
Prendendo la stessa San (ovvero la Principessa), si vede poco di come lei sia veramente ed è tutto lasciato ai classici stereotipi dell’eroina che difende la natura e la famiglia, l’icona di ciò che è giusto.
E’ positivo vedere personaggi che potrebbero essere usciti da mondo Disney venir messi in scenari più crudi come quello appunto della Principessa Mononoke, ma il fatto che venga dato così poco spazio alla ragazza che da il nome al film lascia un po’ l’amaro in bocca.
Ashitaka invece è il classico avventuriero coraggioso che vuole sapere di più del mondo, vuole capire cosa spinga la ragazza ad agire in quel modo e cerca in tutti i modi di comprenderla, rimanendo comunque dalla parte degli umani, almeno dentro di sé. E’ già più interessante di San, ma il personaggio di Eboshi riesce a surclassarlo, mostrandosi come una donna forte ed indipendente, capace di guidare da sola un’intera città e di rivoluzionare la guerra stessa.
La narrazione è ricca di contenuto, visto che oltre all’ambientazione in sé, persino le interazioni con i personaggi secondari vengono messe in luce, lasciando ovviamente lo spazio a scene di azione e abbastanza romantiche… Se farsi sputare in bocca il cibo può definirsi romantico.
In ogni caso, ha dimostrato più volte la sua forza come film, mostrandosi non solo come un pretenzioso messaggio atto a smuovere i cuori, ma come un gran film di intrattenimento.
La Principessa Mononoke ha dunque vinto in molti dei suoi aspetti, senza rimanere però esente dai suoi difetti, vittima dei suoi stereotipi.

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L’apparato tecnico è ciò che ha reso famoso lo Studio Ghibli.
Animazioni fluide e fatte a mano accompagnate dal classico design accattivante di Miyazaki rendono lo show decisamente piacevole dal lato grafico, senza considerare l’incantevole vistosità dei fondali che aiutano a far accrescere l’aspetto fantasy del film, lasciando spesso a bocca aperta.
La cura nei prodotti Ghibli è palese dal lato tecnico e la Principessa Mononoke da questo lato è sicuramente vittoriosa. Questo si deve molto al regista, che ha personalmente ridisegnato decine di migliaia di cut.
Sicuramente è quel genere di film che tutt’ora sarebbe impossibile da rendere in live action.
La colonna sonora è decisamente da premiare, molto azzeccata e suggestiva.
Queste lodi tuttavia non si possono estendere all’edizione italiana della Lucky Red, che seppur forte di un’ottima qualità video, pecca enormemente nell’adattamento dei dialoghi, mostrando frasi ricche di parole pretenziose atte solo al non far comprendere i discorsi allo spettatore, farcite inoltre con una pessima grammatica che ha acceso gli animi dei fan (e non solo per Mononoke, ma anche per tutti gli altri film adattati dalla stessa persona).
Detto in modo simpatico, basta Cannarsi.

Non il film migliore della Ghibli, ma sicuramente da vedere.
Consigliabile a tutti coloro che vogliono passare due ore vedendo una pellicola incantevole e sicuramente interessante sotto vari aspetti.

Sull'autore

Gabriele Gemignani

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