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Qualche mese fa ho pubblicato la recensione di un’opera cruda e cinematografica firmata dall’autore canadese Jeff Lemire, Niente da Perdere. Una storia lineare e semplice, ma che cattura il lettore e lo afferra con una stretta possente. Stavolta invece dobbiamo spostarci verso un argomento un po’ diverso, ma allo stesso tempo simile, la famiglia. Una narrazione diversa, con protagonisti diversi e una tematica che riguarda il lutto, che potrebbe colpire ogni famiglia purtroppo. Royal City, graphic novel edito da BAO Publishing si presenta con il suo primo volume che lascia parecchie emozioni forti all’interno del lettore, o almeno questo vale per me.
Le memorie mai sepolte
Con Royal City il buon Lemire si avvicina a quelle che erano le sue opere primarie e sopratutto al suo genere prediletto, quello della mera quotidianità. Da questo di solito prende le parti migliori e come un buon artigiano le lavora a dovere per trasmettere qualcosa al lettore. Una mente brillante quindi, ma sicuramente con qualche punto oscuro che non ci svela. Il primo numero della storia (di cui probabilmente ne vedremo altri due o tre al massimo) ci svela la scena che andremo a vivere insieme a una sfortunata famiglia composta da una madre, un padre e i loro tre figli, Pat, Tara e Richard. Purtroppo dopo un malanno il padre viene ricoverato in ospedale ed è questo il movente che ha permesso a tutti i membri di incontrarsi nuovamente, anche se in un clima non proprio felice.
Ora dobbiamo fare un passo indietro però. Nel 1993 la famiglia aveva un quarto figlio, Tommy, che però morì improvvisamente, lasciando delle ferite mai rimarginate all’interno di tutti. Lo stesso bambino è ora una parte della coscienza di ogni personaggio e ognuno lo interpreta a modo suo. Abbiamo un uomo che dopo aver scritto un libro fortunato si ritrova in bilico tra una crisi con la scrittura e con la moglie. La sorella è un’imprenditrice che vorrebbe cambiare l’aspetto della città di Royal City, inimicandosi il marito e anche sua madre. Infine il terzo fratello è perso tra l’alcool e la disperazione. Persone comuni avvolte nei propri dolori e nelle proprie disperazioni che sono costrette a rivivere il passato e affrontare il presente con il futuro. Questo è Royal City.
Elaborazione del lutto
Personalmente ho sempre adorato le storie con delle persone semplici, costrette ad affrontare un problema gravissimo, soffrire e solo successivamente, forse, trovare una soluzione. Jeff Lemire è bravissimo in questo, non c’è che dire. Le sue capacità di mettere a nudo l’animo dei falliti e derelitti è altissimo, ma lo è anche la volontà di descrivere qualcosa di cosi particolarmente degradato (spesso). Un po’ come vedere Shameless, ma senza tutto quel sesso. La storia in questione ha dalla sua una complessità narrativa davvero impressionante, sopratutto se consideriamo la semplicità di Niente da Perdere. Tanti personaggi del tutto diversi che coesistono all’interno di un universo in cui i dialoghi sono naturali, come se a dirli fossero delle persone in carne ed ossa. Un mondo in cui le coppie si sfaldano e la carriera diventa la cosa più importante in assoluto.
Dal punto di vista stilistico invece ci troviamo davanti al classico stile di Lemire, semplice e senza fronzoli. Il tratto spigoloso e quasi abbozzato da sempre la giusta prospettiva dell’azione in corso, ma sorprendere, come sempre, sono le espressioni facciali. Nonostante questo stile cosi particolare e quasi abbozzato, ogni personaggio ha delle espressioni facciali che anche senza il dialogo dicono tutto. L’arte nel far parlare un volto senza usare le parole non è per tutti e a volte non serve una tecnica iper realistica per questo traguardo. Ci sarebbe ancora molto da dire riguardo a Royal City, troppo. Vorrei quindi riservare più spazio nelle altre recensioni della serie a magari in uno speciale che riguarderà questi temi.