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In un periodo non particolarmente florido di uscite ed anzi segnato da rinvii illustri c’è sempre tempo e modo di recuperare a nostro diletto una sostaziosa pletora di titoli che di solito vengono definiti in modo del tutto dispregiativo come “riempitivi” oppure “facilmente deprecabili” dall’utenza, tuttavia ci si può imbattere in piccole perle che nascondono esperienze inaspettate, in grado di sorprendere ed intrattenere senza troppe pretese e soprattutto a buon mercato.
Focalizzarsi su un’idea non proprio originale ma realizzare con dovuta cognizione di causa una ben delineata commistione di vari generi è una strategia che rasenta lo standard nelle produzioni videoludiche contemporanee alfine di fornire nel complesso un’infrastruttura appagante al videogiocatore…ma troppo spesso ci ritroviamo dinnanzi a produzioni troppo simili tra loro, ed in questa continua spirale d’industrializzazione del videogioco si rischia di perdere quel tocco d’originalità che contraddistingue l’opera “autoriale” da quella “industriale”.
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Journey to the Savage Planet non è certo un prodotto che rivoluzionerà il panorama del videoludo ma è un titolo che, consapevole dei propri limiti, sfrutta al meglio le sue potenzialità riuscendo non solo a reggersi sui suoi piedi ma anche ad intrattenere grazie ad un pizzico di sagace irriverenza e da tanta passione che contraddistingue l’operato dei creator di Typhoon che si percepisce ad ogni dialogo, ad ogni missione esplorativa e ad ogni anfratto più recondito di AR-Y 26.
Colonialismo spaziale
Sin dai primi trailer comparsi in rete gli appassionati erroneamente hanno paragonato questa nuova IP ai grandi brand che sfiorano le tematiche del science fiction per antonomasia, ma sono sufficienti i primi minuti di gioco per capire che questo Journey to the Savage Planet è lontanissimo dalle atmosfere che caratterizzano un Mass Effect, un The Outer Worlds oppure un No Man’s Sky, bensì si avvicina allo spericolato surrealismo di
“Rick & Morty” grazie a personaggi, tematiche ed in generale una scrittura dei dialoghi non solo intelligente e mai banale ma altresì in grado di render incredibilmente partecipe anche chi si ritrova al di là dello schermo poichè sorretto interamente da un umorismo scanzonato caratterizzato da tante idiozie, battute brillanti e gag e molto divertenti. Se deciderete di compiere questo improbabile viaggio alla scoperta di AR-Y 26 e dei suoi misteri vi ritroverete insomma a sorridere costantemente anche grazie alle forme e ad alcuni comportamenti della fauna locale che di certo spiccano per originalità e diversificazione pur rimanendo preclusi nei meandri di una volubilità estetica ben definita.
Tuttavia il nostro compito di colonizzatore dello spazio ci viene introdotto da un flmato motivazionale, in pieno stile televendita anni ’80, dal CEO della Kindred Aerospace: società che ha sfruttato i finanziamenti governativi (non si sa se in modo legale o meno) per ampliare il proprio programma di esplorazione del cosmo alla ricerca di una nuova casa per l’umanità. In questo difficile compito saremo costantemente accompagnati dall’intelligenza artificiale E.K.O., un personaggio che risulterà imprescindibile non solo per proseguire nelle nostre scorribande distruttive (eh volevo dire…esplorative) ma impreziosirà alcuni momenti morti dell’avventura, che di certo non mancano, ma che sono davvero poca cosa nel complessivo.
Diversi biomi e diversi approcci
Scesi sulla superficie del pianeta si procede cercando di esplorare, analizzare e racimolare risorse disponibili per poter invero utilizzarli come combustibile per la navicella e tornare sulla Terra.
Spesso e volentieri, un pò perchè è il gioco che inevitabilmente ci spinge a farlo ma anche e soprattutto per placare il nostro inconscio sadismo ci ritrovermo a dar ceffoni oppure a sparare alle creature ostili con la nostra fidata pistola…ma sberle apparte risulterà di estrema importanza scansionare oggetti, strutture e materiali non meglio identificati per capire qualcosa di più dell’ambiente, incominciando così ad interagire con piante letali e strutture aliene.
Seppur inizialmente saremo piuttosto limitati con l’inventario ci verrà in soccorso la stampante 3D posizionata all’interno della nostra navicella, che fungerà da hub centrale, per potenziare il proprio equipaggiamento. Sarà quindi fondamentale raccogliere le materie prime estratte dai corpi dei nemici disseminati nel mondo di gioco in modo tale da poter così sbloccare proiettili più performanti, un utilissimo doppio salto, un visore capace di rilevare con più nitidezza oggetti e materiali, un rampino che ci permetterà di scalare velocemente sezioni di gioco piuttosto prolisse ed arzigogolate e chi ne ha più ne metta.
Con il nostro impavido protagonista che avanzerà verso l’entrata della torre centrale scopriamo anche un netto cambiamento stilistico e conformazionale dei biomi che in generale complessificheranno l’intera esperienza di gioco visto che, se nelle prime ore di gioco ci dedicheremo a rudimentali sessioni di platforming e cercheremo di ottenere gelatine aliene che aumentano la nostra energia, impareremo man mano anche a giocare con qualche gadget recuperato sulla nave o direttamente sul pianeta stesso, permettendoci di superare sezioni di gioco piuttosto spinose che nonostante sono caratterizzate da un game design acuto denotano una mobilità del protagonista non così ispirata poiche spesso e volentieri ci tradirà facendoci rovinosamente cadere da altezze improbabili.
La fauna stessa sarà un altro elemento di gioco che muterà insieme al nostro personaggio visto che diverrà sempre più aggressiva, con mostri pericolosi che ci metteranno non poco in difficoltà e con boss fight che per esser sconfitte si combineranno alle “classiche” meccaniche platform in un connubio certamente non propriamente innovativo e paradigmatico ma di certo in grado di appagare il fruitore.
Esplorare con stile…e in coop
Il lato migliore è senza alcun dubbio il comparto grafico che esprime tutte le sue potenzialità grazie ad uno stile “cartoon” decisamente azzeccato, anche grazie al clima sempre scanzonato con cui si affronta l’intera esperienza. In generale il comparto estetico riesce a farsi apprezzare sempre di più quando si passa tra le diverse aree da sbloccare, tra i vari enigmi ambientali da risolvere e tra i diversi scontri opzionali da affrontare che vi permettono di mettere le mani su preziose leghe aliene, ed ergo le side quests risultano non soltanto in linea di massima un incentivo ma sono estremamente soddisfacenti.
Insomma questo Journey to the Savage Planet incoraggia molto all’esplorazione libera e senza troppe pretese che raggiunge il suo apice in modalità co-op con un avventura che raggiunge il doppio del divertimento se condivisa con un altro giocatore….un po come ai vecchi tempi.