L’unico avversario di Xbox sono i giocatori che hanno paura del cambiamento

Xbox Microsoft

Vi stiamo ascoltando. Questo era quello che tramite la voce tonante di Phil Spencer era piovuto dal cielo sui  social network qualche settimana fa, per mettere freno alle voci scaturite dai vari leak che si sono susseguiti a tema futuro Xbox ed esclusive. Leak a cui non abbiam dato spazio, e che ancora infondatamente, parlavano di una grossa fuga di software e servizi esclusivi dall’ecosistema Xbox, andando in direzione di un modello di business sicuramente inconsueto per il panorama editoriale videoludico di oggigiorno, creato dal triopolio Microsoft, Sony, Nintendo. Neanche a dirlo, dopo i 23 minuti del videopodcast “Aggiornamenti sul business Xbox”, la tanto vociferata inversione a U nelle strategie di mercato di Microsoft non c’è stata, salvo la conferma di voler portare alcune IP che hanno già dato tutto (probabilmente Sea of Thieves, Grounded, Hi-Fi Rush! e Pentiment) quello che potevano dare all’ecosistema, sulle altre console. E di voler sempre valutare, caso per caso, la possibilità di applicare questo modello ad altre situazioni (cosa da sempre confermata da Phil Spencer stesso ad ogni maxi acquisizione avvenuta nel tempo).

Logo Xbox ps e switch



Ma torniamo al momento dei leak. Quando ancora tutto era nebuloso. Le reazioni calde, troppo calde, dell’utenza della macchina verde crociata e dell’ambiente videoludico intero, erano da tenere in conto, ma sicuramente hanno avuto un tono fin troppo acceso rispetto a quello che era lecito aspettarsi. Soprattutto considerando un mercato che già vive di esclusive “temporali” e che ne riconosce le logiche. È quindi sicuramente interessante valutare il fenomeno causato interamente dal pubblico e dalla stampa più sensazionalistica, che ora, dopo essersi parlati addosso per due settimane intere, si trovano stranamente quasi a bocca asciutta dire “ah, ma quindi? Solo questo?”. Quasi come se fossero delusi dal mancato arrivo di uno scossone che non avrebbero visto l’ora di poter criticate. Che poi, criticare cosa?
Se, anche ragionando per iperboli, quel futuro che tanti si immaginavano sarebbe stata una mossa di business pure sensata (e ora proveremo anche a dirvi la nostra sul perchè). Certamente una reazione così caliente però significa qualcosa. E quel qualcosa è presto detto.
Microsoft ha detto sin da subito che ci ha ascoltato e avrebbe dato delle risposte.
Ma noi, dal 2020 in poi, abbiamo mai ascoltato Microsoft? 
E soprattutto: perché abbiamo ancora così paura del cambiamento e non vediamo l’ora che arrivi solo per poterlo criticare?

C’è chi non vuol sentir parlare di cambiamento

Continuiamo a pensare al perché le mosse di Microsoft sembrino coerenti, avanti, e sul perché lo sarebbero state pure in caso avesse scelto di far sbarcare persino Gears su Playstation.
È di pochi giorni fa lo spot lanciato al Super Bowl, in cui il colosso di Redmond investe tempo ed energia per mostrare al mondo le potenzialità di Copilot (ex Bing Chat), e dell’intelligenza artificiale intera. Il più grande cambiamento che si appresta ad affrontare la nostra società dalla rivoluzione industriale. Uno spot costato non poco dato il posizionamento pubblicitario, uno spot che, più di tutto, ricorda al mondo una cosa, che forse nel tempo era scivolata troppo sullo sfondo delle nostre menti: da sempre Miscosoft è l’icona di come si fa business con il software.
Anche solo guardando un vecchio cult come I pirati della Silicon Valley (che vi consigliamo di vedere) potrete farvi un’idea approssimativa di quanto questa cultura disruptive sia intessuta nel midollo dell’azienda e, dando nuovamente un’occhiata al documentario Power On (eccolo qui), potrete vedere come questa idea di fondo sia rimasta anche all’interno della divisione gaming, soprattutto quando si inizia a parlare di un cambiamento disruptive come il Game Pass. Perché questo cambiamento disruptive? Beh, semplicemente perchè Microsoft si era resa conto che, dalla fondazione del progetto Xbox, era nel mezzo di una rincorsa che non poteva vincere. E quindi serviva cambiare prospettiva. Serviva cambiamento. Anche all’epoca si diffuse paura, incertezza (che dura tutt’ora), voci, teoremi fondati sul nulla riguardo mosse suicida fatte dalla stessa azienda nei confronti del settore e di se stessa. Il cambiamento venne visto, anche a fronte di una situazione di partenza sfavorevole (guarda caso, proprio uno di quei momenti in cui il cambiamento è assolutamente necessario) come la mossa sbagliata da fare, e quindi, da criticare: molto meglio continuare sulla strada tracciata, anche se non vi sono segnali che la stessa strada porti davvero a una situazione realmente positiva nel tempo. Ma è il miglior modo per non creare turbolenze nell’utenza, anche quella più affezionata.

Ma esattamente… paura di che?


Ora, passo indietro molto rapido, per inquadrare ancora meglio la situazione. Dal 2020 al 2024 domandiamoci cosa sono diventare Microsoft e Xbox? Con mosse di acquisizione costate una fucilata di dollari (Bethesda + Activision) da console manufacturer, Microsoft è diventata forse il più grosso conglomerato editoriale del panorama videoludico. Quindi? Beh, sarebbe urgente anche “aggiornare” il punto di vista: perché se cambi la tua natura e struttura aziendale, cambi anche ipoteticamente il tuo modello di business in maniera del tutto naturale. La domanda da porsi non è più quindi “cosa deve fare un produttore di console per avere successo?” ma “cosa deve fare un editore per sfondare?”. E la risposta è ovviamente: avere accesso a più selling point possibili per piazzare i propri contenuti.
Phil Spencer non ne ha mai fatto un mistero. La sua visione aperta rispetto alla possibilità di portare software di casa Xbox sulle altre console è proprio figlia di questa logica prettamente editoriale, dove al centro non c’è l’hardware, ma l’espansione della community che incontra i prodotti lanciati dall’editore Xbox. Xbox Game Pass. O comunque la si voglia chiamare questa nuova dimensione di brand. Ma questo concetto non vale solo per Xbox, attenzione: anche Playstation e Nintendo sanno che, piano piano, la logica editoriale prenderà il sopravvento anche nel loro ambito, rispetto alla produzione delle macchine da gioco. Da qui la scelta di Sony di abbracciare sempre più (e sempre più in fretta) il mercato pc. Semplicemente perché, che piaccia o meno, come il cinema ha mostrato con un decennio di anticipo, il cloud gaming tarato sul modello Netflix è un futuro ineluttabile. Non è questione di se; è questione di quando.
L’hardware avrà certamente ancora una sua ragion d’essere, e se pensiamo a questo, Nintendo è sicuramente la casa più virtuosa, perché ancora conserva in sé quella voglia di offrire esperienze diverse mediante proprio l’hardware che produce. Ma anche Series S, X e qualunque loro successore ci sia già in cantiere, lo avranno, come lo avrà la futura Playstation, finchè il cloud non sarà ancora sufficientemente stabile, o finchè verrà meno il concetto di “macchia studiata ad hoc per venderti un’esperienza o un’offerta particolare”. E per esperienza particolare valgono casi non virtuosi come Playstation Portal, che, pur essendo impopolare sul web, è comunque un device studiato per rispondere ad una domanda specifica di una ristretta base di pubblico disposta a pagare per averla. E per “offerta particolare” pensiamo anche alla possibilità vendere una macchina esclusivamente ottimizzata per far girare prodotti in maniera semplice, con servizi pensati in esclusiva (es. Game Pass), anche ipoteticamente senza l’esclusiva dei giochi stessi, una Game Pass Machine. Anche quella avrà ipoteticamente un valore che, seppur non predominante nel business plan, ne sarà comunque un capitolo. Sarebbe assurdo, avendo le forze produttive necessarie, non pensare di piazzare un prodotto pensato ad hoc per collocare i propri prodotti editoriali di punta, un posto sicuro, un sellingpoint estremamente privilegiato, dove fare più carezze possibili ai tuoi consumatori, ricavandone anche qualche spicciolo in vendita diretta. Quindi torniamo a quelle voci, a quella paura: perché dovrebbe farci paura, un cambiamento che non porterebbe nemmeno via dal mercato le console, ma semplicemente le relegherebbe al ruolo più consono per loro? Naturalmente siamo portati a reagire con restrizione al cambiamento, come ci insegna l’esperimento dell’obbedienza di Stanley Milgram, ma qui c’è sicuramente qualcosa di più; qualcosa che ancora pone le sue radici in quell’affezione fanboy nata in un altro tempo, che rende ciechi, che vuole vincolato il successo di un’azienda rispetto alla presenza delle sue console sugli scaffali, la mole di pubblicità proposta in TV, e le vendite al dettaglio dei “pezzi”. Non ricordandoci di vivere nel 2024, in un periodo storico dove società come RedBull hanno creato un modello di business pazzesco, facendo diventare le vendite del prodotto al dettaglio un fattore quasi completamente secondario. 
 
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Tornando a parlare di Xbox, le carte ora sono più chiare, e vanno sempre nella stessa direzione, con una giusta e timida apertura verso un modello editoriale che prenderà sempre più il sopravvento. E il giocatore che è in me può che dirsi non intimorito, ma contento e affascinato. Anche in caso vi fosse una nuova accelerata, un nuovo vento di profondo cambiamento. Da una parte perché ho sperimentato su me stesso la forza di questo modello che vive anche in assenza di esclusive. Ve lo dice proprio uno che ha macinato ore di gioco su Xbox One, per anni, senza che vi fosse un solo gioco di richiamo. Semplicemente perché era diventato il territorio più comodo e conveniente dove incontrare tutto il resto dell’offerta editoriale terze parti, trasformando la mia amata Playstation 4 in una console su cui giocare solo le esclusive Sony. Un’inversione di tendenza incredibile. Dall’altra, una parte di me, sarebbe incredibilmente entusiasta di vedere finalmente le IP sviluppate in casa Xbox affacciati al mondo esterno, finendo questa autocastrazione di pubblico a cui sono sempre un po’ relegate, figlia di una vision che fino a qualche anno fa ancora sperava ancora un po’ troppo follemente di poter superare la concorrenza in termini di console piazzate con la sola forza della proposta di prodotti. Sappiamo tutti, Phil Spencer compreso, che quella partita non è più aperta. E lo ha confermato anche con il lancio di Starfield. Non ha più senso provare a giocare questo match quando, per comporre quell’offerta commerciale (che neanche poi ti porterebbe al sorpasso) devi continuare a proporre contenuti esclusivi il cui costo di produzione è in totale escalation anno dopo anno (se prima lanciavi 5 esclusive a cifra Y, ora lanci 5 esclusive a cifra Y moltiplicato per 5) aumentando le perdite, di conseguenza, per parlare a un pubblico sempre e comunque limitato in partenza.



L’obiettivo di Microsoft, e di ogni società che sta facendo i conti con questo settore, è chiaro, ed è quello di potenziare lo spettro di diffusione dei propri prodotti editoriali, esattamente come deve fare qualunque editore si trovi di fronte alla sfida di dare valore ai propri contenuti. Scegliendo tempi e modi giusti per ogni contenuto. Perché pensare che un Hi-Fi Rush (che è meraviglioso) a un anno dal lancio, possa portare qualcuno a comprarsi una console, è semplicemente folle, nel 2024. E vietarsi di vendere quel software a qualcuno che ci giocherebbe con piacere, sarebbe un suicidio di business da Oscar.
Qual è l’unica ragione per cui stupirsi quindi? Qual è l’unica ragione per cui fare tanto caos? Perché avere paure di questi movimenti?
Forse perché si è stati tutti troppo sordi. E quando non ascolti il cambiamento sembra sempre più grande e disastroso di quello che poi agli effetti è. Anche quando è benefico. Anche questo cambiamento, su una nave che va picco, è potenzialmente una vera a e propria scialuppa di salvataggio.

Sull'autore

Alessandro Tonoli

Grande appassionato di Videogiochi fin dalla più tenera età (si narra sia stato partorito in ritardo in quanto non avendo salvato, non poteva uscire) si diverte a scrivere per questo o quell'altro sito pur di dare un suo piccolo contributo alla diffusione del Videogioco come mezzo, non solo ludico, ma anche artistico ed emotivo.
Da buon Boxaro preferisce i boxer agli slip.