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Maison Ikkoku, uno dei cult della mangaka Rumiko Takahashi, nota per aver creato Ranma 1/2, Inuyasha e Lamù, giunge alla sua conclusione naturale dopo ben dieci volumi di intrecci amorosi.
Kyoko e Godai arrivano alla fine, e al nuovo inizio, della loro storia, trascinandosi dietro le classiche incomprensioni e i tipici fraintendimenti di questo manga per adulti targato Takahashi.
Opinioni e commenti
Giunto anche io alla fine di quest’avventura, non posso nascondere i miei sentimenti contrastanti nei confronti dell’opera. Seppure nelle recensioni precedenti abbia affermato più volte i suoi pregi, dopo i volumi finali giudicare complessivamente il fumetto mi ha fatto capire molte cose. Nonostante la capacità di Rumiko nel creare situazioni facili da seguire e divertenti, alla lunga il ripetersi delle stesse situazioni anche pesantemente stereotipate lascia veramente l’amaro in bocca nel lettore. Maison Ikkoku risulta essere un lunghissimo tira e molla con pochissimi elementi veramente buoni e degni di sviluppo in mezzo a una marea di futilità atte solo ad allungare il brodo.
L’idea alla base funzionava benissimo negli anni ottanta, dove esisteva un’ingenuità generale parecchio diffusa sia in Giappone che nel resto del mondo, per quanto riguarda il fumetto. Adesso però quei cliché utilizzati anche nelle soap-opere e fiction italiane e straniere non reggono più il passo con gli standard moderni. Mentre alcune opere come Legend of the galactic heroes riescono a tenere il passo con i tempi per la loro attualità e profondità, gli altri racconti come appunto Maison Ikkoku risultano soltanto invecchiati male. Questo non è un difetto imputabile all’opera in sé, visto che appartenendo a un’epoca diversa era anche basata sugli standard di quell’era, ma per i nuovi lettori approcciarsi a un manga del genere potrebbe risultare ben più che difficile.
Le scene, seppur forti di una calda nostalgia nei primi volumi, a lungo andare hanno perso di forza e sono risultate semplicemente ridondanti, per un pubblico che è stanco di mangiare la stessa minestra riscaldata. E’ certamente doveroso dare i suoi meriti a Rumiko Takahashi, che è riuscita comunque a creare un manga di tutto rispetto che, nonostante adesso non brilli, in passato ha saputo regalare tantissime emozioni ai lettori, ed è facile capirne il motivo. L’umorismo, adulto ma comunque piuttosto leggero, riesce ad addolcire particolarmente la pillola e rende onore alle grandi doti da sceneggiatrice dell’autrice. Questa qualità riesce a portare avanti l’opera, che traballa fin troppo per quanto riguarda l’evoluzione della trama.
Negli ultimi volumi in particolare, la storia d’amore principale finisce vittima di più intrecci, a volte nati da incomprensioni, altri da bugie. Ma comunque, il fulcro è sempre il fraintendimento, un cliché fin troppo riutilizzato per essere digeribile al giorno d’oggi. Il finale, sebbene piuttosto dolce, quasi stucchevole, è perfetto per la storia e chiude tutte le sottotrame senza lasciare buchi. Almeno questa soddisfazione l’autrice è riuscita a darcela.
I disegni riescono nel loro intento, riuscendo a enfatizzare le scene più importanti con i dovuti retini, senza esagerare o uscire dagli schemi di tutto il resto del fumetto. La bellezza di Kyoko rimane, ma il design dei personaggi secondari è fin troppo comune, tant’è che a una prima occhiata si riesce benissimo a scambiare il protagonista con altri personaggi. Una debolezza che mi ha fatto decisamente storcere il naso, nonostante non influisca particolarmente sulla valutazione del fumetto in sé.
Maison Ikkoku è un fumetto di altri tempi. Bello, sì, ma solo per chi ha la fortuna di appartenere a quell’epoca. Pur non essendo assolutamente un prodotto mediocre, dovendomi rivolgere a un pubblico giovane non posso consigliarlo, preferendo indirizzare i novizi verso opere più vicine a loro che trattano sì d’amore, ma in un modo più contemporaneo.