Neon Genesis Evangelion: una buona scelta guardarlo su Netflix?

L’animazione giapponese nel corso degli anni ci ha regalato perle indimenticabili che sono inequivocabilmente entrate nell’immaginario collettivo degli appassionati del genere, ma senza alcuna remora possiamo definire che Neon Genesis Evangelion, o semplicemente Evangelion, è stata un’opera in grado di rivoluzionare l’intera industria dell’intrattenimento seppur non ha di certo avuto un successo immediato, facendo addirittura rischiare allo studio Gainax (produttrore della serie) il fallimento, altresì avvenuto pochi anni dopo. L’opera ideata dal genio di Hideaki Anno negli anni ha ricevuto modifiche, nuove produzioni, rebuild, che nonostante alcune critiche da parte degli appassionati di vecchia data che non hanno difatti gradito il nuovo arco narrativo venuto a delinearsi dall’ultimo film d’animazione, che vedrà il suo seguito (si spera) nel 2020, in questi ultimi anni, ancor prima dei vari rebuild si sono tendenzialmente anche venute a delinearsi ed altresì a concretizzarsi diverse interpretazioni, prospettive ideologiche e veri e proprie speculazioni e teorie tanto acclamate dalla community come la famossissima “Teoria del loop” che ha riacceso l’amore dei fan verso un’opera che per la sua profondità narrativa ha riscritto i canovacci narrativi del genere “mecha” che ha assunto, grazie ad Evangelion, un modo del tutto innovativo ed originale di raccontare una storia che per certi versi rappresenta a seguito di una caratterizzazione dei personaggi così “vera” ed in grado di sfuggire alle classiche stereotipazioni del genere, da divenir un vero e proprio “laboratorio sociologico” alfine di saggiare la complessa perdizione dell’animo umano e la sua conseguente ed inesorabile perdita di concretezza.

Dalle premesse risulta esser del tutto impossibile rovinare un’opera di tale entità, ed invece con l’arrivo della serie su Netflix, che ha acquisito i diritti per 26 episodi della serie originale oltre ai due film conclusivi, per la necessità di distribuirlo in contemporanea in tutti i 190 paesi, in cui il servizio opera, si è ritenuto necessario un riadattamento dell’opera in modo tale da ridoppiarla così da risparmiarsi accordi con le vecchie produzioni ed eventualmente evitare anche un effettivo dilatamento specialmente burocratico dei tempi previsti per poter difatti render disponibile la serie. Il 21 giugno scorso, come previsto, Netflix ha pubblicato tutto il materiale con il nuovo adattamento e dopo poche ora la rete è letteralmente insorta: il nuovo riadattamento targato da Gualtiero Cannarsi è semplicemente un disastro, tanto che in alcuni tratti snatura l’opera e fa uso di un italiano per così dire, singolare…ed è stata per così dire una vera e propria “cannastrofe” (perdonate per il neologismo).

Scelte “discutibili”

Indubbiamente bisogna di certo non delegittimare e nemmeno condannare i doppiatori che hanno di certo svolto, al meglio delle loro possibilità, un lavoro che seppur non perfetto risulta esser ugualmente di buona fattura, ma ciò che fa rabbrividire risulta esser difatti nella sua globalità il modus operandi scelto da Cannarsi che, nonostante abbia lavorato all’epoca dell’adattamento originale targato Dynit, era allora ventenne e lavorò con un notevole supporto da parte di traduttori professionisti per adattare e doppiare alchè questi ultimi si dimostrarono di certo decisamente più adatti a svolgere questo ruolo rispetto a Cannarsi. Non bisogna nemmeno sitetizzare e di certo banalizzare una figura professionale come l’adattatore che non solo si limita alla traduzione di un semplice testo ma prende una traduzione professionale e con le sue conoscenze non solo di lingua giapponese ma anche di filologia e di tutto ciò che sta a latere di un testo, cerca di trasformarlo in italiano nella maniera più fedele e fruibile possibile pur considerando le limitazioni di sincronizzazione dell’audio con il video….insomma tutto ciò che questo riadattamento non è, in grado di potenzialmente distruggere il valore effettivo di un’opera di tale importanza.
Il dettaglio più evidente ed ormai divenuto simbolo del disastro di Cannarsi è la scelta di denominare i mostri antagonisti della serie “apostoli” anziché usare il vecchio termine “angeli”, se da un lato questa scelta avrebbe una spiegazione semantica del tutto ragionevole (in alcuni contesti la parola giapponese Shito significa appunto apostolo) dall’altro è in netta contrapposizione con il volere stesso dell’autore poichè gli episodi infatti sono costellati di scene in cui i monitor, in situazioni di allerta, mostrano chiaramente la parola anglosassone “angel” come sarebbe del resto logico, data la natura ultraterrena di questi esseri, mentre di senso comune anche nella nostra contemporaneità noi siamo abituati ad utilizzare il termine apostolo quando quest’ultimo è legato solitamente a esseri umani. Come se non bastasse, la stessa sigla di apertura si intitola “Zankoku na tenshi no teeze”, che si traduce in “la tesi dell’angelo crudele”, ed il primo episodio della serie viene appunto intitolato “L’attacco dell’angelo”, ma stendendo un velo pietoso difatti sulla questione angelo/apostolo, ciò che corrobora questo disastro è la scelta di nominare i robot umanoidi non più Eva-00, 01, 02 e così via, ma avvalendosi di uno strano “Unità zero” o “Unità Prima”, ed anche nella fattispecie, seppur il senso non è stravolto, ancora una volta va contro quanto si vede nelle scritte di diversi fotogrammi nel corso della serie.
Le scelte “particolari” del nuovo doppiaggio non si fermano solo a semplici reinterpretazioni terminologiche ma si estendono in tutta una serie di passaggi “impreziositi” da un italiano inusuale dai tratti quasi aulici ma che paradossalmente questa ricercatezza semantica porta a decisi svarioni e strafalcioni grammaticali ormai divenuti virali sui social come ad esempio: il “nessuna recalcitranza” utilizzato dai militari od anche “la forza bellica non riesce a indurne l’arresto” seguito poi da uno scandaloso “Ci è giunto comunicato che hanno già completato di prendere rifugio”ed infine all’imbarazzante traduzione di modalità Berserk divenuta “stato di furia“.

Gli esempi potrebbero dilungarsi all’infinito per la strana scelta di privilegiare una traduzione quasi letteraria a costo di usare termini desueti o appunto rendendo le frasi sgrammaticate ma fintanto che non si incappa pure in errori grossolani come nel caso di “Da qui innanzi il comando di questa operazione è rimessa a te“, in cui la frase attorcigliata ha pure fatto perdere ai doppiatori il senso del maschile e femminile, il tutto sfocia in una perdita d’immedesimazione in grado di minare le fondamenta di una storia che di certo meritava un trattamento decisamente diverso. Dulcis in fundo che nella fattispecie riguarda non solo il territorio nostrano, al termine di ogni episodio manca, sempre per problemi di diritti, anche la canzone molto amata “Fly me to the moon“, parte integrante dell’opera e con un arrangiamento diverso per ogni sigla finale che per certi versi distrugge a livello cosmogonico anche l’enigmatico personaggio di Rei Ayanami.

Vederla o meno su Netflix?

Insomma per i veri appassionati di vecchia data della serie questo è stato un duro colpo al cuore ma per coloro che desiderano addentrarsi in una narrativa così complessa ed affascinante come quella di Neon Genesis Evangelion al giorno d’oggi sconsiglio la visione su Netflix poichè, tralasciando ovviamente la qualità del servizio di streaming altresì indiscutibile, non si riesce in queste condizioni ad apprezzare l’opera nella sua globalità e se proprio non avete altri modi per poter difatti visionare la serie animata vi invito a selezionare la lingua originale con sottotitoli in italiano, nella speranza che in un immediato futuro si riesca a risolvere una situazione che al giorno d’oggi risulta esser un qualcosa di decisamente indecoroso ed irrispettoso anche nei confronti dell’autore.

Sull'autore

Francesco Palmiero

Enciclopedizzare, narrare, contemplare e condividere insieme l'arte videoludica.