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Rieccoci con uno tra i titoli videoludici più attesi tra gli amanti del genere shonen, dall’uscita di Jump Force, One Piece World Seeker. Tratto dal celeberrimo manga che può vantare più di novecentotrentacinque capitoli all’attivo, frutto della geniale mente del maestro Eiichiro Oda, non poteva sottrarsi a quel cannibalismo commerciale che ha sedotto migliaia di artisti e casa editrici pungolate da milioni di fan in tutto il mondo. Tra il merchandising tie-in ed un parco a tema (con addirittura le tombe dei personaggi annesse, due fino ad ora), One Piece: World Seeker non è solo l’ultimo arrivato in questa già vastissima famiglia ma è il progetto più sperimentale ed innovativo tra i predecessori videoludici ispirati alla serie.
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Le Intenzioni
La trama, palesemente filler della continuity del manga, propone al videogiocatore i nove protagonisti della ciurma di Cappello di paglia in continuo conflitto su di un piccolo arcipelago minerario con un’isola principale ben più grande delle altre che le collega tra loro e sotto il controllo a dir poco tiranneggiante della Marina. Come in quasi ogni altro contesto videoludico inerente a One Piece, la ciurma dei Mugiwara è dispersa su tutta la mappa disponibile e tra i primi capitoli del gioco; spetterà al giocatore, nei panni del capitano Monkey D. Rufy (unico personaggio giocabile), ritrovarli, salvarli o liberarli per poi riportare tutti alla Thousand Sunny e ribaltare il despota di turno della saga. Tralasciando per ora ulteriori dettagli sulla trama e i suoi elementi cardine, visti e rivisti nei diversi capitoli antecedenti quest’ultimo, One Piece: World Seeker si ripropone in una chiave tutta da sperimentare. Riunisce in un unico titolo tre elementi caratteristici nel campo videoludico: l’immancabile picchiaduro in modalità musou (uno molto forte contro tanti avversari alla volta), una crescita del personaggio in stile gioco di ruolo e uno spazio di gioco open world che si adatta al tema piratesco della serie.
Ciò che offre
Dopo il tentativo di un furto ai danni di una prigione volante della Marina, la ciurma di Cappello di paglia si ritrova smembrata e sparpagliata su quella che sarà l’intera mappa del gioco: un piccolo insieme di isole ricolmo di covi pirata e avamposti della Marina, la cui esplorazione potrà essere portata a termine già durante le primissime missioni o tramite una rapida esplorazione libera (una “vastità”alquanto deludente), il tutto seguito da una grafica cartonata in tre dimensioni dai lineamenti non troppo marcati (per capirci, non in stile Borderland). Nei panni di Rufy si comincia quest’avventura alla ricerca dei compagni perduti, raccogliendo oggetti, sconfiggendo nemici e portando a termine missioni secondarie per ricevere oggetti in grado di potenziare il personaggio. Il gioco, come consueto per il suo genere, dà molta libertà di scelta per quanto riguarda le missioni da intraprendere (principali, secondarie ma legate alla trama principale, secondarie di supporto ai cittadini) e di personalizzazione, con una ruota apposita suddivisa in cinque categorie: esplorazione, battaglia, parametri, ambizione dell’osservazione e dell’armatura. Dal punto di vista del gioco di ruolo, va assolutamente fatto un sostanziale investimento nelle abilità esplorative indispensabili per non limitare la gommosa capacità del personaggio nei movimenti che parte davvero da un livello inferiore allo zero, rendendo snervante gli spostamenti e le cadute in acqua (cosa accaduta molto spesso). Il combattimento non presenta corpose innovazioni, tramite la ruota dei potenziamenti sblocchiamo mosse (spesso acquistabili più volte per averne una versione più efficiente) per variare il nostro arsenale ed affrontare al meglio le avversità dell’isola, ma sempre con la sconcertante semplicità tipica del genere musou.
Il gioco non risulta lunghissimo in termini di ore, le missioni principali sono ben articolate e si amalgamano con armonia alle vicende degli abitanti, con i quali può essere incrementato un legame basato sul karma accumulato aiutandoli. Peccato che tutti i dialoghi al di fuori delle cutscene non siano doppiati. La struttura e l’idea rendono il progetto accattivante per un osservatore esterno…ma c’è un MA: l’inesorabile ripetitività. La tipologia delle missioni disponibili, principali e non, rimane pressochè invariata e se la si associa ad un mappa molto piccola, le cose da fare si riducono drasticamente alle missioni della trama principale per poter colmare quel loop di raccolta e lotta. Da appassionato della serie non posso che sentirmi insoddisfatto per ciò che ho provato. I giochi di ruolo che concedono un’intera mappa da esplorare con segreti, missioni secondarie, oggetti e la possibilità di combattere con le abilità dei propri personaggi preferiti, dovrebbero essere l’icona della libertà di azione: “fai quello che vuoi, come vuoi e goditi la storia che abbiamo creato per te, giocatore”, ma non One Piece: World Seeker. Questo gioco non riesce ad incarnare e trasmettere l’agognato senso di libertà, base non solo del genere open world ma anche della pirateria presente nel manga da cui è stato tratto.