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Di tanto in tanto, nel mondo videoludico, arriva un gioco che cambia tutto… talvolta è una semplice meccanica, come quella dei ripari in Gears of War, il bullet time di Max Payne, o la salute auto-rigenerante di Call of Duty 2. Altre volte si tratta di interi giochi che rivoluzionano o reinventano un genere, dai grandi classici come Super Mario Bros e Tetris, a giochi più recenti come Demon’s Souls, che fanno da pietre angolari per molti titoli a venire, dando inizio a una celebre saga “ufficiale” e a tantissimi altri giochi ad esso ispirato. È tra questi Salt and Sanctuary frutto del lavoro di Ska Studios, uno studio microscopico formato da due sole persone.
Anima di lavapiatti
I coniugi Silva sono già noti ai videogiocatori per titoli indie come Charlie Murder, The Dishwasher: Dead Samurai e soprattutto il suo seguito-capolavoro The Dishwasher:Vampire Smile che vi consigliamo assolutamente di recuperare se non lo avete giocato. Salt and Sanctuary è figlio biologico di quest’ultimo e la saga dei Souls; a seguito di un naufragio causato da un mostro lovecraftiano, il nostro protagonista dovrà intraprendendo un pericoloso viaggio attraverso una terra in cui il valore di un guerriero si misura in base al sale che gli si è attaccato addosso. Il sale, per l’appunto, funziona esattamente come le anime dei Souls; si guadagna uccidendo i nemici, si spende per salire di livello, e si perde se si muore prima di spenderlo, salvo recuperarlo immediatamente durante la prossima incarnazione; unica differenza, il sale non è accettato come valuta dai mercanti, questi ultimi infatti preferiscono oro sonante, anch’esso guadagnato massacrando i nostri nemici, e che viene perso in percentuale (il 10%) ad ogni decesso. Il gioco è ovviamente in 2D, disegnato con lo stile inconfondibile di Michelle Silva, (che da molto la sensazione di “disegno inquietante fatto dal compagno di classe inquietante”) e compensa la mancanza della terza dimensione con una miriade di bivi, passaggi segreti, e zone accessibili solo con determinate abilità, in stile Metroidvania. Anche il sistema di combattimento si pone esattamente a metà tra Dark Souls e Dishwasher: alle parate, schivate, armi e sistema di stamina del primo, si aggiungono le combo spettacolari e ultraviolente del secondo; un binomio perfetto, bello da giocare e spettacolare da guardare.
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Sia lodato il sale
Anche se pesantemente ispirato ai Souls, Salt and Sanctuary dimostra spesso personalità da vendere, oltre all’aggiunta dell’oro alle risorse raccolte, anche la progressione di livello riserva delle sorprese: oltre ai normali aumenti di salute ad ogni livello otterremo una sfera, che potremo spendere in un esteso sistema di sferografia per aumentare le statistiche e soprattutto avere accesso ad equipaggiamenti di classe superiore. Alla mancanza di un vero multiplayer online si sostituisce un multiplayer “simulato”, troveremo infatti in giro messaggi in bottiglia con messaggi che vanno dal nonsense a indizi su passaggi segreti a vere e proprie segnalazioni di quello che affronteremo a breve, proprio come accadrebbe giocando restando connessi ai server di un Souls. È però possibile a determinate condizioni attivare un multiplayer locale, sia per farsi aiutare nei nostri viaggi, sia per frenetici combattimenti PVP. Il sistema di “religioni” e di devozione di Salt and Sanctuary è rappresentato in maniera diversa ma più efficace, potremo infatti reclamare i santuari vacanti in nome della divinità che seguiamo, potendo scegliere, quando ci troviamo in santuari appartenenti a credenze diverse, di farne un uso limitato e rimanere fedeli al nostro credo, oppure di voltare bandiera sfruttandone al massimo i benefici, imponendoci di fare un sacrificio nell’uno o nell’altro senso. L’impegno di Ska Studios nel mettere così tanti tocchi personali in un gioco di così pesante influenza From Software è davvero lodevole, e Salt and Sanctuary merita di essere ricordato come il gioco che più di tutti ha saputo reinventare il GDR d’azione con una dimensione in meno.
La lingua perduta dei navigatori
A tutti fa piacere quando un gioco viene tradotto nella propria lingua madre, ma talvolta questo non è possibile a causa delle risorse limitate degli sviluppatori, allora meglio lasciare tutto in inglese e dare un motivo in più ai giocatori di imparare una lingua nuova, o esercitarsi nella comprensione della stessa. Questo NON è il caso di Salt and Sanctuary. Gli sviluppatori hanno sciaguratamente deciso di affidarsi ad un traduttore automatico che si adatta malissimo ad un gioco in cui i dialoghi ed il lore sono scritti in maniera simil-arcaica; il risultato è che al giocatore che conosce l’inglese anche solo a livello scolastico, risulterà molto più comprensibile il testo originale rispetto a quello in italiano. Abbiate pazienza e settate la console in inglese. A parte questo, e alla banalità di alcune battaglie contro i boss, soprattutto all’inizio, Salt and Sanctuary è un gioco solido, longevo, senza sbavature, impegnativo, ma non troppo e cosa più importante, molto divertente. Consigliato sia a chi non ce la fa proprio ad attendere Dark Souls 3, sia a chi alla saga delle anime vuole avvicinarsi senza scottarsi troppo, almeno all’inizio.