Until Dawn: Rush of Blood – Recensione

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La realtà virtuale è oramai sbarcata sulla console di casa Sony da diverso tempo, e i suoi titoli hanno già avuto modo di mostrarsi con una certa concretezza in un mercato decisamente timido e refrattario al lasciarsi andare ai facili entusiasmi. Non c’è certo da meravigliarsi per questo atteggiamento: niente come il settore videoludico ha potuto già subire una volta la cocente delusione celata dietro questo apparente sogno ad occhi aperti. Chi ha vissuto con una certa maturità gli anni 90’ non potrà certo dimenticare il primo spavaldo tentativo con cui la realtà virtuale ha provato ad introdursi nei sistemi di gioco casalinghi dell’epoca, finendo per risultare uno dei più grandi buchi nell’acqua della storia videoludica. Ma non solo di queste cicatrici si alimenta questo clima freddo e distaccato. Tentativi più recenti, come il motion control di Wii, Kinect e compagnia bella hanno promesso effettivamente più di quello che hanno poi rispettato, lasciando dietro di loro perlomeno l’utile eredità di un’implementazione utile ad altri tipi di dispositivi che ora gestiscono questi processi con un’esperienza sicuramente più assodata, ma la percezione di un traguardo mancato per la mancanza di esperienze memorabili rimane, come rimane la cicatrice lasciata assieme dietro di sè.

La realtà virtuale sembra però combattere una battaglia che, per quanto svolta in territorio ostile, può permettersi il lusso di qualche sorriso in più; lusso concesso da un mercato che può sperimentare a 360° l’implementazione di questa tecnologia, non limitata al settore del gaming su console ma allargata anche al più sperimentale mercato pc, senza dimenticare il mondo cinema che tenta con ancora più difficoltà di capirne le grammatiche arcane. Dietro questi sorrisi accennati si celano i protagonisti di questi primi sudati passi: prodotti sviluppati per introdurre gli utenti a questo nuovo modo di interagire con i mondi digitali. Nella non certo magra line-up Sony è da subito spiccato il nome di uno spin-off relativo al marchio di Until Dawn, horror sviluppato in esclusiva dai Supermassive Games per PS4 nel 2015. Il nuovo titolo chiamato “Until Dawn – Rush of Blood”, lanciato a prezzo budget pochi mesi fa, non ha saputo distinguersi in modo così particolare (meglio hanno fatto altri suoi confratelli d’uscita) anche per via delle meccaniche mai troppo affascinanti degli shooter on rail, stile di gioco abbastanza limitante e per questo mal visto da una grossa fetta dell’utenza. Ma il genere non fa mai un gioco per intero, e non c’è cosa più sbagliata, di fronte ad una nuova tecnologia, di dare per scontate grammatiche già conosciute vogliose ora di mostrare quello che prima non era mai stato loro possibile mostrare. Senza troppi fronzoli abbiamo quindi deciso di lanciarci in una prova scoprendo fin da subito che Until Dawn riesce a dare una sua venatura personale all’esperienza VR, che potrà tentare e fornire spunti di interesse anche ai più scettici.
Vediamo come è andata questa folle scorrazzata!

Until Dawn: Rush of Blood

Una spirale infernale

Rush of Blood mette in chiaro sin da subito le atmosfere di gioco in cui tenterà di immergere il giocatore. La storia vede come muto protagonista Josh, il ragazzo che abbiamo imparato a conoscere nell’avventura principale del titolo maggiore. Impersoneremo il ragazzo durante i suoi deliri, provocati dalle iniezioni somministrate da un dottore tutt’altro che rassicurante che continuerà a parlarci durante gli intermezzi fra un livello e l’altro, sulla falsariga dello psichiatra di Until Dawn.

I livelli di gioco cominceranno così a susseguirsi uno dopo l’altro in un alternarsi di follie ed improvvisi momenti di lucidità in cui ci ritroveremo legati e immobilizzati nella sala in cui le torture hanno luogo. I deliri daranno invece vita ad uno strano quanto inquietante parco giochi che dovremo visitare nel nostro carrello minerario. Come avrete potuto intuire non c’è una vera e propria trama a cui restare attaccati per tutto il corso del gioco. L’espediente narrativo sembra più un semplice collante studiato in maniera banale, ma pur sempre efficace, per permetterci un viaggio fra location di tipo decisamente diversificato. Viaggeremo attraverso quello che inizialmente ricalca gli inquietanti scenari dei parchi di divertimento abbandonati; ci muoveremo poi attraverso miniere infestate, grandi mattatoi e molte altre ambientazioni claustrofobiche, raccolte dal meglio del repertorio horror slasher. Fra queste ambientazioni, fatte di cunicoli stretti e sale leggermente più ampie per dare luogo agli scontri, si intermezzeranno fasi di transito in cui ci muoveremo all’interno di un bosco cupo e silenzioso, decisamente azzeccato come nota di stacco dal caos generale a cui successivamente verremo accompagnati.

Scorrazza e spara

L’alternanza delle fasi d’azione con quelle di attraversamento dei boschi rende sicuramente giustizia al sistema VR che ci permette di spaziare con la vista nella profondità del bosco, godendo di piccole inquietudini notturne: silenzi dilatati; stormi d’uccelli che decidono di spiccare  il volo spezzando un silenzio rinchiuso nel blu della notte. Questi momenti cuscinetto servono tanto per l’atmosfera, quanto per dare realmente luogo a quei “viaggi in giostra” che il casco VR ci permetterà di sperimentare in salite e discese forsennate, riempite di ostacoli da evitare col movimento della testa; un utile alternanza che, se sicuramente non stimola il giocatore dal punto di vista dell’interattività, permette di sottolineare con maggiore evidenza le fasi di shooting forsennato evitando il sopraggiungere di una noia che sarebbe potuta essere letale per un titolo di per sé non vario.

La strutturazione dei livelli nelle fasi d’azione  è sufficientemente ben gestita. Con le due armi in nostro possesso potremo sparare sull’orda di nemici che ci verrà scagliata addosso (quasi mai in sovrabbondanza e sempre abbastanza – anche troppo – ordinata) e al contempo illuminerà le zone di schermo su cui punteremo, lasciando così quasi completamente buie le altre. E’ questo uno degli elementi su cui si basa tutta la gestione dell’effetto scenico del titolo: grazie a semplici rumori o particolari messi in evidenza il gioco ci porterà a concentrarci su determinate parti dello scenario così da attaccarci a sorpresa dal punto lasciato scoperto, creando il consueto effetto jumpscare. Un sistema da sempre utilizzato negli horror game ma che qui assume particolare importanza per via di un giocatore che deve essere ancor più guidato; guidato alla gestione della telecamera che impersonifica, pena: la perdita d’effetto totale della scena.

Il gioco ci obbligherà inoltre a scandagliare con la luce le aree di gioco alla ricerca di armi che potrebbero garantirci un notevole risparmi di fatica duranti gli scontri. Anche questo sistema fa sì che il giocatore sia portato a perdere attenzione sulle porzioni di schermo da cui poi uscirà l’ennesima apparizione, raddoppiando il grado di spavento.

Venendo invece al sistema di controllo e al fattore immersione iniziamo col dire che Rush of Blood può essere tranquillamente giocato anche senza i due controller Move richiesti. L’esperienza che ne risulterà sarà però così tremendamente mozzata. L’orientamento spaziale dato dal VR dipende terribilmente dalle restanti movenze delle altre parti del corpo, e avere la percezione di una corretta postura delle mani può risultare un elemento in grado di restituire un esperienza di gioco notevolmente diversa. L’elevata immersione concessa dal casco Sony invece risulta complessivamente vincente, anche se sul lungo periodo perde parte della sua efficacia: girare per le diverse strutture infernali sarà inizialmente abbastanza provante, complici alcuni momenti registici decisamente ben scriptati (il passaggio fra i maiali rimarrà tremendamente impresso e vi farà passare la voglia di salumi per un po’). A lungo andare però il sistema di gioco on-rail concederà al giocatore una certa sensazione di sicurezza, che ad ogni modo non toglierà totalmente l’effetto spaventoso delle apparizioni con cui dovremo fare i conti ad ogni attimo di stacco.

Il sistema di gioco si presenta comunque decisamente arcade. Non vi saranno passaggi terribilmente complessi; gestendo con la giusta tattica le armi concesse in maniera sempre puntuale durante gli scontri più ostici si arriverà tranquillamente all’end-game, che vi riserverà inoltre un livello di impatto scenico sicuramente sopra la media generale del gioco. Ed è proprio con questo livello che effettivamente si arriva a concepire che, nonostante le basse aspettative che il gioco tende a creare dato il particolare genere su rotaie ed un prezzo di vendita budget, forse con qualche accortezza in più (e alcuni momenti un po’ più iconici sparsi per il gioco) ci saremmo trovati di fronte ad un titolo sempre senza pretese, ma sorprendentemente più efficace; il livello di piattume generale dei vari livelli (che esteticamente invece si differenziano decisamente bene) arriva ad un punto di saturazione abbastanza alto anche per colpa di nemici tutto sommato poco originali, se non per estetica, sicuramente per caratteristiche; la sensazione di stare sparando un po’ sempre alla stessa cosa negli stessi modi farà capolino una volta che vi accorgerete che saranno tutti eliminabili alla stessa maniera (se non un paio di apparizioni di velocità superiore in grado di restituire la giusta dose di timore e adrenalina).

Dal carrello sembra tutto più bello

A livello tecnico Rush of Blood può però definirsi un gioco che fa di necessità virtù. Evitando di criticare le ovvie limitazioni imposte dal sistema VR (che ad ogni modo ha dato risultati migliori con altri titoli) il comparto artistico crea ottimamente gli ambienti malati con cui il titolo spera di rimanere impresso nelle budella del giocatore, immergendolo nelle atmosfere gore e sanguinolente proprie del campionario a cui decide di attingere. Le texture e i modelli poligonali inizialmente restituiranno un effetto decisamente sgradevole ma a lungo andare anche l’occhio si abituerà alla mancanza di definizione generale e riuscirà a godersi il viaggio su rotaie fra ambienti nel complesso riusciti, portando l’occhio a vagare per la scena in cerca di dettagli curiosi. Ma se la grafica non lascia certo appagati il comparto sonoro si mostra invece sicuramente di una spanna superiore, sobbarcandosi il pesante compito di attirare l’attenzione dell’utente verso zone di campo utili allo sviluppo degli effetti jumpscare.

[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]Until Dawn: Rush of Blood si dimostra insomma come il titolo che in fondo ci era stato promesso. E’ una giusta introduzione per i neofiti del VR agli ambienti horror sperimentabili in prima persona. Condisce il giusto grado di spaventi (mai eccessivi) al divertimento delle scorrazzate su rotaie folli già viste in troppe tech demo, ma qui contestualizzate in maniera decisamente più interessante. Se le atmosfere slasher condite da un mostrario horror gradevole sono in grado di darvi quel giusto mix tra inquietudine e divertimento Rush of Blood è un prodotto che sicuramente può fare al caso vostro; se invece vi lasciano indifferenti e siete in cerca di terrori più sconvolgenti, beh, non dispiacetevi troppo: è appena uscito un certo Resident Evil VII.[/stextbox]

Sull'autore

Alessandro Tonoli

Grande appassionato di Videogiochi fin dalla più tenera età (si narra sia stato partorito in ritardo in quanto non avendo salvato, non poteva uscire) si diverte a scrivere per questo o quell'altro sito pur di dare un suo piccolo contributo alla diffusione del Videogioco come mezzo, non solo ludico, ma anche artistico ed emotivo.
Da buon Boxaro preferisce i boxer agli slip.