Stifled – Recensione

La realtà virtuale può sicuramente dirsi come il miglior movimento di rivoluzione videoludica attualmente in gestazione nelle maglie del mercato. Prodotti di alto valore stanno iniziando a nascere su tutte le piattaforme che attualmente possono fregiarsi dell’utilizzo di questa piccola scatola dei sogni; un segnale di assoluta salute per un’ industria che si dimostra come sempre piena di idee, e vogliosa di scoprire quali meraviglie si nascondano oltre i limiti supposti di ogni tecnologia.

E se da una parte è vero che Sony si sta rivelando un ambasciatore ancor più affidabile di quello che era lecito suppore al lancio di Playstation VR, non possiamo non rimarcare il lato oscuro di questa meravigliosa situazione. Non tutti i prodotti infatti che si accendono fra le luci del visore possono dirsi sviluppati con la cura che un sistema così particolare richiederebbe. Duole dirlo ma è proprio il caso di Stifled, horror videoludico lanciato ad effetto direttamente da Sony, in veste di publisher, alla Paris Games Week proprio quest’anno.
Ed ora ve ne spiegheremo le ragioni.

Stifled
Stifled, un’esperienza horror che fa del suono il suo pilastro fondamentale.

Un vuoto onirico

Parlare di narrazione in un titolo come Stifled rischia addirittura di sembrare esagerato. Il gioco si sviluppa all’interno di una situazione onirica che echeggia le sensazioni provate per alcuni tratti in Here They Lie, altro titolo per Playstation VR uscito ormai un po’ di tempo fa. La storia sembra incentrata sulla figura paterna di una famiglia che ha delle difficoltà relative al discorso bambini: i mostri da cui saremo rincorsi avranno proprio le fattezze e i tratti di bebè tumefatti, che non vi risparmieranno i loro lamenti a metà tra versi naturali e stridii demoniaci. Le piccole cut-scene inserite tra una situazione stealth e l’altra non riusciranno a darvi un quadro generale della narrazione che rimarrà fin troppo aperta a interpretazioni di vario tipo, non concedendo nulla da seguire di concreto al giocatore.

La somiglianza con il titolo sviluppato da Tangentleman si esaurisce però in brevi sensazioni che non arrivano minimamente a coinvolgere il videogiocatore: se Here They Lie mostrava una trama, seppur sconnessa, per certi versi ammaliante, grazie soprattutto alla varietà di scenari e alle sue linee di dialogo accattivanti, qui il tutto si riduce a dei piccoli lampi che non contengono alcuna caratteristica saliente. Purtroppo la lacuna è lacerante: sembra quasi che furbescamente il titolo voglia puntare sulla scusa dell’oniricità per non raccontare nulla, e sperare che le sue suggestioni riescano a colmare il vuoto superficiale in cui vi farà girare. Una scommessa che in fin dei conti risulta pessima, e che vi farà sempre più indispettire con l’aumento delle ore di gioco.

Un rumore nel momento sbagliato potrebbe mettere in pericolo David Ridley, il tormentato protagonista della storia.

La noia nel rumore

La parte di gameplay può sicuramente dirsi la più riuscita. E badate bene, stiamo comunque parlando di un gameplay assolutamente insufficiente. Ad attenuarne i miseri risultati perlomeno si può dire che, con l’orgoglio di chi rotola nel fango, il gioco in questo prova ad ergersi per mostrare una sua identità. 

Per dirla brevemente, Stifled non è altro che uno stealth game particolarmente poco riuscito, ma dai tratti sicuramente originali. Appoggiandosi alla visione che hanno avuto titoli come Beyond Eyes, lo scenario in cui vi muoverete diverrà visibile solamente grazie al movimento del personaggio. Nello specifico grazie ad ogni rumore emesso da uno spostamento, oppure dai suoni che voi stessi produrrete con la vostra voce, raccolta dalla fidata Playstation Camera. Camera che purtroppo dopo un po’ arriverà a non poterne più della vostra voce, come non ne vorranno più sapere i vostri familiari. Il titolo infatti obbliga per lunghi tratti a emettere suoni vocali per illuminare parti di scenario sempre più in profonde, cosa che da un lato, nei primi minuti, vi sembrerà una scelta assolutamente illuminata, proseguendo vi ritroverete invece profondamente irritati dal perpetuarsi della pratica. 

Anche prendendo questa scelta di game design dal suo riflesso migliore non basterà a bissare i confini della noia in cui si cade inesorabilmente nel girare tra ambienti vuoti, senza una vera motivazione, rincorsi da piccoli mostri dall’intelligenza artificiale assolutamente rudimentale. Non c’è niente da scoprire, niente da cui farsi coinvolgere e il divertimento se ne sta quindi da tutt’altra parte facendo emergere solo una vaga stanchezza ridestata solo dai pochi momenti di tensione in cui tenterete di sgattaiolare da una parte all’altra dello schermo.

Ma questo purtroppo non è tutto. La parte peggiore deve ancora venire. Il titolo VR soffre (o fa soffrire più che altro) di uno dei peggiori episodi di motion sickness mai sperimentati sul visore di casa Sony. La nausea durante il gioco sarà una costante, elemento che vi potrebbe portare a giocarlo nella sua versione classica, riducendo così totalmente l’utilità del gioco stesso. E se tale malessere, in giochi come Here They Lie poteva essere sopportato a fronte della voglia spasmodica di visitare uno scenario in più, qui nulla può giustificare una tortura fisica che rimane solamente fine a se stessa.

Stifled
Il rosso è un chiaro avvertimento: pericolo!

La VR non è un’alibi per non avere stile

Altro punto basso è la realizzazione grafica del titolo. Senza volerlo crocifiggere per gli ovvi limiti di sviluppo (proviene da un progetto scolastico) dati oltretutto dalla VR, la pochezza stilistica è l’ulteriore colpo di grazia di titoli che tentano di ricercare con  il minimalismo del bianco e nero un’identità propria, e un effetto wow, che va presto a farsi benedire. Oltre le cut-scene infatti sarete immersi in ambienti di cui vedrete solo l’esoscheletro, colonne bianche che emergeranno da uno sfondo nero abissale. La scelta è sicuramente artisticamente coraggiosa, ma per far funzionare una tecnica del genere la gestione di tutti gli altri elementi deve risultare assolutamente perfetta, armoniosa, o perlomeno coesa (giustificata sarebbe la ciliegina sulla torta ma non pretendiamo così tanto!) mentre qui, duole dirlo, non funziona quasi niente, e quella che poteva essere una scelta virtuosa rimane solo uno stanchissimo clichè estetico che ormai non basta più nemmeno a se stesso.

[stextbox id=”alert” caption=”COMMENTO FINALE”]Stifled è un gioco che non riesce purtroppo ad arrivare nemmeno nelle prossimità dalla sufficienza. Un titolo VR che riesce a non coinvolgere, a far mal sopportare addirittura l’ambiente in cui il giocatore si muove non può definirsi in altro modo che un completo fallimento. Lo sperimentalismo dell’utilizzo dei suoni emessi del giocatore esaurisce il proprio fascino dopo poco, rimanendo un esperimento mal gestito, seppur dai buoni presupposti. Il consiglio è quello di starne alla larga, soprattutto per il pesante motion sickness a cui dovrete quasi obbligatoriamente prostrarvi. A meno che non cerchiate un’esperienza in gran parte noiosa pur di visitare un ambiente digitale diverso dal solito. A quel punto, chi è causa del suo motion sickness pianga se stesso.[/stextbox]

Sull'autore

Alessandro Tonoli

Grande appassionato di Videogiochi fin dalla più tenera età (si narra sia stato partorito in ritardo in quanto non avendo salvato, non poteva uscire) si diverte a scrivere per questo o quell'altro sito pur di dare un suo piccolo contributo alla diffusione del Videogioco come mezzo, non solo ludico, ma anche artistico ed emotivo.
Da buon Boxaro preferisce i boxer agli slip.